Regia di Lana Wachowski vedi scheda film
AL CINEMA
"Ho fatto sogni che non erano solo sogni..."
Thomas Anderson (un Keanu Reeves barbuto e dal capello fluente come John Wick) , nato come hacker, ora fa il creatore di videogiochi, come lo sono stati i primi tre Matrix che precedono questo che ci occupa.
La difficoltà a discernere realtà da mondo virtuale, che rimane la sua principale occupazione, gli rende necessario farsi seguire da un'analista (Neil Patrick Harris), anche perché l'incubo di tutto ciò che è successo nella trilogia di cui sopra (che peraltro non saprei proprio dove cominciare se dovessi riassumerne le dinamiche), continua a martellarlo e ad ispirarlo nel contempo, facendo sì che i ricordi che lo travolgono gli consentano da un lato di sviluppare i prodotti più all'avanguardia e di successo per il mercato, ma anche il pericolo di farlo ripiombare nel baratro che lo ha catturato tempo addietro.
Peccato che la circostanza, non certo molto fortuita, di incrociare in una caffetteria una bella madre di famiglia che si presenta con le fattezze della ex eroina Trinity (la sempre perlacea Carrie Ann Moss), non faccia che ricacciarlo ad un passo dall'abisso che lo ha rapito in precedenza, trasformandolo in Neo.
In più ora i produttori dei videogiochi che Anderson ha arricchito in questi anni, tornano ad incitare costui affinché metta mano ad un quarto capitolo della saga di Matrix (e, forse unica cosa degna di nota in questo film, la circostanza fa si che finzione da videogioco e realtà filmica finiscano per coincidono), in modo da perpetuare il successo che l'epopea di Neo ha avuto il merito di creare.
Ma la realtà sarà davvero questa del creatore di videogiochi curato dal suo fidato analista attraverso la pillola blu, o invece non sarà il contrario, ovvero non sarà la realtà del videogioco a cercare di riscattarsi risvegliando Neo, anche grazie ad un nuovo Morpheus (l'impronunciabile e difficilmente trascrivibile Yahya Abdul-Mateen II) e permettendo di distoglierlo dalla realtà virtuale che il medico gli ha spacciato come unica dimensione reale?
Ne seguirà una lotta che rende il dualismo di scelte, come il fulcro di tutta una vicenda impegnata a scoprire dove si celi la realtà, sfruttando un binario di possibilità che due pillole diversamente colorate sintetizzano in una dinamica sin troppo semplicistica utile a rendere plateale l'antagonismo in realtà ben più cervellotico ed astruso che discerne le due dimensioni.
Se Matrix originale, intoccabile e fonte di culto dogmatico per molti adepti incondizionatamente succubi ed adoranti, mi ha lasciato assai freddo già alla prima visione in occasione della sua uscita nell'ormai lontano 1999, così come ad una seconda in cui ho tentato, senza successo, di riuscire a digerirlo; se i due seguiti poi li ho trovati altamente intolleranti ai miei gusti narrativi e visivi, oltre che snervanti e insopportabili, ecco che il quarto tardivo episodio, diretto con un indubbio impegno da una sola delle sorelle, nel caso specifico Lana Wachowski, giunge ora apparentemente oltre ogni tempo massimo, e non fa che confermare questa mia inevitabile avversione per una serie di personaggi ed eroi che non riescono mai davvero a coinvolgermi, né tantomeno ad appagarmi anche solo a livello visivo. Circostanza, quest'ultima, che costituirebbe già un utile accomodamento.
Il giudizio sul film e sulla serie in generale, risulta pertanto, nel mio caso personale, viziato da una innata incapacità di interessarmi al genere o a farmici coinvolgere, e da un costante personale mancato coinvolgimento nei riguardi di storie e situazioni che - fortuna per loro, invece - creano sulla massa proseliti e ammiratori incondizionati nei nostalgici di fine millennio, e forse in parte anche presso le nuove generazioni, i millennials, che ora si trovano, per la prima volta al cinema, ad affrontare le dinamiche di un dualismo realtà/virtualità, che invece continuo a considerare ostico e fonte di scarsa attrazione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta