Regia di Lana Wachowski vedi scheda film
L’azione non sorprende come nei capitoli precedenti (i piani sono troppo stretti, e spesso ciò che sentiamo attraverso il sound design non lo vediamo), ma la narrazione in crescendo, autoriflessiva nella prima parte e più autonoma nella seconda, ha molti spunti accattivanti: la manipolazione del tempo dell’analista (la psicologia qui è il nemico, l’istinto è il buono), visivamente resa con il contrasto tra i frame rate dei personaggi; la prima parte in cui il protagonista mette in dubbio l’essenza della sua routine (con “white rabbit di sottofondo e un montaggio in cui ricorrono le stesse immagini), cercando un difetto del sistema in cui lavora e guardando con distacco ciò che gli sta intorno: deve maturare per la seconda volta (“un’altra chance”), perché nella prima mancava qualcosa; l’allegoria del videogioco come macchinario plasmato ad hoc dall’industria, ma in realtà riflesso della psiche e dei sogni del protagonista; infine l’obiettivo della seconda parte: l’altra faccia della medaglia, dato che il singolo non basta, necessita dell’amore e della completezza data dalla partner. Di conseguenza il focus non è più la salvezza della collettività, ma la soddisfazione dell’individuo. Il film è più un saggio che un blockbuster, poiché l’innovazione non è più della storia, ma è del discorso, della modalità e del significato di questa, ribadendo l’impossibilità di una nuova realtà, ma solo la possibilità di un’altra “faccia”, minore, sovrastata da quella che ben conosciamo (la chiave è nella sequenza della scelta della pillola, il cui sfondo è lo schermo su cui è proiettata la sequenza corrispettiva del primo film). Originalità teorica più che visiva, ma capace di riflettere sull’iconografia, sempre presente (i frame dei precedenti film ricorrono spesso). Come afferma un personaggio, il reboot è inevitabile, ma in questo caso si va oltre: un’altra versione della storia che corre parallela all’archetipo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta