Regia di Silvio Amadio vedi scheda film
Un Silvio Amadio in un giallo "alla Fritz Lang"
Produzione piuttosto importante per un giallo italiano pensato anche e soprattutto per i mercati esteri, realizzato nel 1963 e apparso sui nostri schermi soltanto due anni più tardi.
Shelley North (Cyd Charisse), ricca turista americana e figlia di un noto costruttore di aerei, è alla ricerca del marito Bill misteriosamente scomparso a Roma nel corso di una breve vacanza.
Dick Sherman (interpretato dall'attore di seconda fascia hollywoodiana Hugh O' Brien), giornalista americano trapiantato nella città eterna ed ex fidanzato di Shelley, si mette sulle tracce dello scomparso con l'aiuto dell'amica giornalista Erica Tiller (un'elegante e algida Eleonora Rossi Drago).
La vicenda si complica ulteriormente con la scoperta del cadavere, accanto alla Fontana di Trevi, di un altro cittadino statunitense, legato in qualche modo al marito di Shelley e al quale viene trovata dell'eroina in tasca.
Si scoprirà che Bill si era recato a Roma non già per scopi turistici ma per contattare un certo Maturian, un misterioso individuo di origine siriana e naturalizzato italiano (sic!).
Un'ulteriore traccia viene rinvenuta da due scalcinati "topi d'appartamento" (Memmo Carotenuto e Franco Giacobini). Recatisi nottetempo nell'appartamento dell'americano ucciso, i due si appropriano di un paio di scarpe appartenute al defunto contenenti un microfilm all'interno del tacco.
Silvio Amadio, dopo un lungo apprendistato come aiuto di Raffaello Matarazzo, dirige con una certa eleganza formale un giallo sino a quel momento anomalo nel panorama cinematografico italiano.
Lontano dagli archetipi che caratterizzeranno il filone del decennio successivo, Amadio, pur non essendo Fritz Lang, tradisce le premesse iniziali sottolineate da alcune inquadrature da far invidia agli opulenti sets hollywoodiani (memorabile è la sequenza iniziale che riprende una Cyd Charisse dormiente nella suite del Grand'Hotel in cui è alloggiata).
Mal coadiuvato da un raffazzonato copione vergato dallo stesso Amadio in collaborazione con il prolifico Giovanni Simonelli (sceneggiatore più di quantità che di qualità), il film si incanala in una storia che, nel ricercare il colpo di scena a tutti i costi, affastella in maniera confusa e fumettistica scontati stereotipi di certa letteratura "hard boiled" ispiratrice dei noirs americani degli anni quaranta. Il tutto sino a un finale caratterizzato dall'ennesimo colpo di scena a onor del vero piuttosto prevedibile ma che non può non aver ispirato il futuro "gatto argentiano".
Recitato da tutti in lingua inglese a favorire il doppiaggio della versione d'Oltreoceano, la produzione si affida a vecchie glorie dai nomi altisonanti (...e dal cachet non esagerato) ma decisamente sul viale del tramonto: la "star" Cyd Charisse, doppiata dal "birignao" di Tina Lattanzi, evidenzia la malinconia di chi, dopo aver ballato con Fred Astaire, ha assistito passivamente al declino dei grandi musicals per trovare ruoli in pellicole di genere non all'altezza della sua fama; in quest'occasione deve pure accontentarsi come partner di un mediocre Hugh O' Brien, troppo impostato e fuori tempo massimo.
A capo della quota italiana e una spanna su tutti, la raffinata Eleonora Rossi Drago; nel rivestire il ruolo dell'emancipata e dinamica giornalista americana Erica Tiller fa quasi da contraltare alla figura della tipica donna italiana ancora troppo sottomessa al focolare domestico.
Se Memmo Carotenuto e Franco Giacobini, nella parte dei due ladruncoli, scimmiottano svogliatamente stilemi da avanspettacolo, piace segnalare, nei panni di una prostituta popolana, la "bonona" Gina Rovere, bellezza volgare dal fisico da pin-up, non nuova a parti del genere.
Per il resto, la musa della "nouvelle vague" Juliette Maynel, forse in procinto di partorire il figlio Alessandro che avrà da Vittorio Gassmann, dà l'impressione di essere capitata lì per caso; il serioso e compassato Mario Feliciani, anzichè rivestire un personaggio d'alto profilo, è un imbarazzante mafioso da fumetto. Nel suo contorno di truci sgherri, ancorchè non accreditato, non possiamo non riconoscere il canuto e inquietante Calisto Calisti, futuro e indimenticato sicario delle mosche argentiane.
A parziale riscatto di una trama che decisamente costituisce il punto debole della pellicola e al di là di interpretazioni in parte non azzeccate e in parte scolastiche, Amadio sembra non accontentarsi degli scontati paesaggi da cartolina della capitale, forse imposti dalla produzione come facile espediente per accattivarsi le platee al di là dello "stivale". Di straniante interesse sono infatti certe inaspettate incursioni nella Roma delle baracche (all'epoca ancora troppo vergognosamente numerose) e delle "case minime" del Partito Nazional Fascista, ancorchè la fotografia acquarellosa dello spagnolo Mario Pacheco ne esalti aspetti quasi bucolici e poco documentariamente veristi.
Come una sorta di "cinema nel cinema" ci aspetta anche una curiosa e simpatica sortita nella Cinecittà del periodo con le nostre produzioni intente con gli economici "sandaloni" a banchettar sui resti della "Hollywood sul Tevere". In una versione consapevolmente povera dei grandi studios americani, le nostre comparse sono costantemente minacciate dai registi con impareggiabili "guardate che oggi nun se magna!" e con Cleopatra che manda a "...morì ammazzati!" i centurioni di turno, dopo aver da questi ricevuto prosaici apprezzamenti.
Noto anche con il diverso titolo de "Il segreto del vestito rosso" e distribuito nei cinema parrocchiali grazie al catalogo della "Sanpaolofilm", la pellicola, recuperata da un mux americano è oggi disponibile in ottimo master su "Youtube", ancorchè carente, sia pure in piccola parte, della traccia italiana.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta