Regia di Luciano Emmer vedi scheda film
Dopo una manciata di commediole più o meno riuscite (Domenica d'agosto, Parigi è sempre Parigi) e un episodio drammatico altrettanto modesto (Camilla), nel 1956 Emmer realizza il piacevole Il bigamo, nel quale affronta in maniera leggera tematiche che leggere, per l'Italia di quegli anni (e soprattutto per la censura DC), non erano. L'anno successivo il regista ci riprova con questo Il momento più bello, confermando il protagonista (Mastroianni) e affiancandogli la brava Giovanna Ralli; in parti laterali ci sono anche Marisa Merlini, Ernesto Calindri e Bice Valori. Tutti caratteristi di valore, ma senza grossi sforzi si intuisce già il netto calo - perlomeno in termini di personalità - rispetto al film precedente, in cui accanto a Mastroianni c'erano Vittorio De Sica, Franca Valeri, Memmo Carotenuto e molti altri nomi di un certo rilievo in parti secondarie, fra cui le stesse Ralli e Merlini. Oltrettutto il giovane protagonista sta finalmente emergendo, proprio in quel periodo, grazie a una serie di commedie fra le quali quelle dirette proprio da Emmer (era già comparso in pressochè tutte le sue precedenti pellicole, ma anche - fra gli altri - in Peccato che sia una canaglia di Blasetti e Il medico e lo stregone di Monicelli). Insomma, Mastroianni come attore drammatico non era ancora quotatissimo, sebbene in quegli stessi mesi Visconti lo lancerà nelle sue Notti bianche; ne Il momento più bello, per i motivi citati, non lascia più di tanto il segno. Si aggiunga che la sceneggiatura del regista e di Glauco Pellegrini (giornalista e regista che però non riuscì mai a sfondare) sembra intenzionata a rimanere più vaga e blanda possibile, certamente per non intimorire il pubblico e la censura, inoltre accontentati entrambi dal lieto fine così buonista e cattolico: i limiti dell'operazione cominciano a essere evidenti. Basta un paragone con il coevo (1958) Alle soglie della vita di Bergman per rendersi conto di quanto il clima politico e sociale di una nazione riesca non semplicemente a condizionare le opere artistiche, ma addirittura a dettarle su misura dei propri gusti e delle proprie remore; fra il dramma esistenziale di Bergman a questa specie di neorealismo rosa d'ospedale, insomma, il confronto è schiacciante. 4,5/10.
Un ginecologo che studia un'innovativa tecnica di parto indolore predilige la carriera agli affetti. Legato a una sua infermiera, al ritorno da un viaggio di lavoro la ritroverà incinta. Inevitabilmente la sua vita dovrà cambiare.
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