Regia di Giulio Petroni vedi scheda film
Il bellissimo film di Giulio Petroni è un solido western italiano che amplifica la lezione leoniana grazie al tema epico della vendetta, alla fatalità del destino e grazie al linguaggio mitico di primissimi piani e inquadrature evocative e simboliche. In più attinge ai modi e ai toni del cinema nero tipico italiano. Fin dall’incipit vediamo in una notte buia e tempestosa arrivare dall’oscurità una serie di bandti dai cappellacci neri, mascherati e con grossi mantelli sulle spalle. Sembrano arrivare più da un film horror di Mario Bava che dal western di Sergio Leone o di Corbucci. E poi, più avanti, nel piccolo poblado messicano ricostruito a Las Salinillas, in Almeria, in pieno Desierto de Tabernas, c’è tutta un’iconografia che richiama gli episodi più dark di tanto fumetto western, più che i segni del cinema classico fordiano. Il risultato è un intimo disegno tragico, uno snocciolarsi di fatalismi che seguono l’itere episodico di “un cattivo via l’altro”. Prima Anthony Dawson, carismatico villain di bondiana memoria (è il primo Dottor Blofeld della serie), con quattro assi tatuati sul petto. Poi è la volta di Guglielmo Spoletini, alias Manuel, e poi di José Torres e infine di Luigi Pistilli, un po’ fuori parte, troppo ingessato nei panni del borghesotto arrivista. Il film è compatto, una delle migliori prove di tutto il corpus italico. Inoltre la presenza di Naso di Corvo/Lee Van Cleef è un valore aggiunto straordinario. Non solo il doppiatore italiano è la sua voce migliore, ma l’attore stesso è di una presenza scenica imbattibile, come nei suoi ruoli migliori. John Philip Law, invece, non grandissimo ed eccelso attore, qui è davvero in parte, affascinante, intrigante, piacevole. Ha pose di tutto rispetto, e non strascica parole fingendo di essere un pistolero: lo è.
Il film non è solo una narrazione ben costruita e senza falle sul tema della vendetta. Sa infatti dirigersi verso i luoghi dell’anima western accompagnandoli con una riflessione schietta e diretta sulla valenza del segno western. Così tutta la prima parte dedicata al poker, la parte finale nel villaggio messicano con tanto di visi mummificati, vento disturbante e un grande peso esistenziale che attanaglia l’aria, diventano i paradigmi di spinte e tensioni interiori che esteriorizzate nella realtà abbaccinante del sole diventano i segni della conoscenza del sè. Questo ovviamente vale per tutti i film western e per gli Spaghetti-Western, ma nel primo film di questo genere di Petroni assumono il valore di una programmaticità poetica di cui ben conosciamo il futuro.
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