Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 78 - CONCORSO
"La verità Fabietto è che nessuno sa veramente cosa succede nelle case degli altri".
È arrivato il momento, anche per Paolo Sorrentino, di raccontarsi e di dare spazio ad una storia fortemente autobiografica che si presenta come un racconto di formazione ove allegria e dolore si alternano spudoratamente come a volte solo le storie di vita vera possono giustificare e rendere possibile.
Ecco allora che la tragedia, crudele, ingiusta e soprattutto senza una reale spiegazione, ha bisogno di una motivazione superiore che, in qualche modo, pur non potendo e cancellare le drammatiche conseguenze, riesca in qualche modo ad attenuarle grazie ad un intervento in qualche modo provvidenziale di una fantasmagorica "mano divina".
Quella del campione Maradona, che fece letteralmente impazzire di gioia una Napoli degli anni '80, tutta letteralmente ed incondizionatamente ai suoi piedi.
Grazie a Maradona il giovane Fabietto, alter ego per nulla segreto di Sorrentino, scampa alla morte da avvelenamento da monossido di carbonio che gli portò via prematuramente gli amati ed allegri genitori.
Costringendolo a reagire e a dare una svolta ad una vita da nerd irrealizzato ed inesperto assillato dalla perenne paura di vivere in prima persona le esperienze formative che portano ad una età adulta da persone mature e realizzate. Sorrentino gira con il noto gran stile che da sempre gli appartiene (splendido l'incipit iniziale in volo silenzioso tra cielo e mare in mezzo al golfo partenopeo), con una verve che rende scoppiettante ed assai divertente tutta una lunga, concitata ed ironica prima parte affastellata di personaggi irresistibili, ove bruttezza ed obesità si alternano alle visioni letteralmente mozzafiato di una Luisa Ranieri da sogno erotico esclusivo.
Poi, una vita accaduta la disgrazia che costringe fuori scena la impagabile coppia genitoriale rappresentata alla perfezione da Toni Servillo e Teresa Saponangelo, ecco che tutto appare più meccanico e ripetitivo, e Sorrentino appare decisamente più affannato nel trattare il dramma del dolore, che l'indolenza di una prima giovinezza piena di titubanze ed immaturità latente.
Ne scaturisce un film dalle brillanti, se non proprio esilaranti premesse, costretto a scendere a patti con un epilogo decisamente meno sciolto, che ne affievolisce di molto la complessiva riuscita. Un'opera che conferma ancora una volta come il calcio riesca a soggiogare (in termini per nulla negativi, ma a volte sin disarmanti) e rendere alla stregua di bambini condizionabili anche le personalità più integerrime e mature che non riescono a sottrarsi alla irresistibile passione che questo sport ultra-popolare riesce ad instillare negli animi, creando più consensi e solidarietà di qualunque altra attività ludica o sportiva, o di qualsivoglia altro interesse od hobbies.
"-Io ho terminato il mio compito
-E quale era?
-Darti una mano a guardare il futuro."
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