Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Napoli, la sua famiglia, le sue esperienze di ragazzo, e poi Maradona, il destino, la scelta di vita. Paolo Sorrentino si racconta, e lo fa a modo suo.
Di per sè un film di Paolo Sorrentino fa discutere, si lascia ammirare, non è mai un film qualsiasi: magari non ti affascina completamente, nè ti commuove o riempie d' emozioni seppur contrastanti, ma certamente l'indifferenza non rientra come conseguenza alla visione di un suo lavoro. Questo, poi, è il suo film più intimo e personale, perchè parla della sua famiglia, di suo padre e sua madre e suo fratello, e quindi anche di sè stesso. E soprattutto mette in scena, o per meglio dire la mostra così come è stata vissuta, cioè senza l'ultima estrema visione, la scomparsa improvvisa dei genitori in un incidente nel quale ci sarebbe potuto essere anche lui. Non emerge mai nel film nè la sensazione di pericolo scampato, o addirittura di "avrei forse potuto evitare la tragedia se ci fossi stato anch'io con loro". E' solo il nonno, Renato Carpentieri, già affascinato dal gol di Maradona con la mano inflitto all'Inghilterra ai mondiali del '86, a renderlo partecipe che la cosiddetta "Mano di Dio" di Diego Maradona si è stavolta posata sulla sua testa per evitargli, grazie a Napoli-Empoli da vivere quella domenica allo stadio, di essere coi genitori verso la tragedia. Il film si spezza in due con il dramma vissuto dal giovane Fabietto, lascia dietro di sè le spensieratezze, gli eccessi, i richiami d'amore dei genitori, tutto il circo di personaggi da macchietta che contornavano le sue giornate familiari. Tutto perde senso, signficato, vive solo dei vuoti rimasti lì a casa sua, la videocassetta di "C'era una volta in America" che non sarà più guardata da tutta la famiglia, e il vezzo di continuare a cambiare canale alla tv con un bastone come faceva il padre non gli restituisce ciò che ha perso. Questo vuoto si riempie sempre di più di incertezze, di persone alle quali vorrebbe appoggiarsi ma che alla fine si rendono insignificanti (la ragazza del teatro, suo fratello ancora troppo immaturo per prendere consapevolezza del futuro da scegliere, il regista Antonio Capuano del quale non segue il consiglio di non andare a Roma e restare a Napoli, per raccontarne una sua di storia). E l'unica persona che sente particolarmente vicina è la zia pazza, una procace e sofferta Luisa Ranieri, alla quale confida il suo desiderio, nonostatnte abbia visto in vita sua solo 4 o 5 film, di diventare regista, e questa rivelazione non viene contrastata, ma invocata per poterne essere un giorno partecipe. Il film si riempie di molti momenti onirici, visioni grotesche, momenti di crudele ilarità, inaspettati perdoni, e tanta solitudine, sino alla decisione finale di salire su un treno, sempre con l'immancabile walkman con cuffietta, e di allontanarsi dalla sua città con nelle orecchie "Napulè" di Pino Daniele. Film imperfetto e discontinuo, con tante attese deluse e inopportuni cambi di direzione. Proprio come la vita, come quella raccontata da colui che l'ha vissuta.
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