Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
A tien ‘na cosa a ‘raccuntà?...e dimmèll!
Così urla Antonio Capuano a Fabietto Schisa alias Paolo Sorrentino. E qualcosa da raccontare finora ce l’ha avuta l’autore napoletano. Qualcosa con una buona dose di fantasia. In questa pellicola è la sua vita ad essere messa in scena, con qualche incursione inventiva e poca visionarietà. Prendiamo la prima scena con l’apparizione posticcia di San Gennaro (Enzo Decaro scialbo come il primo film da regista in cui Sorrentino mise il naso come assistente), il munaciello e il desiderio di maternità della esplosiva Patrizia (Luisa Ranieri ‘o sesso), non arriva abbastanza a destinazione. La rappresentazione della famiglia di Fabietto è sinceramente bella e solare. Nulla fa presagire la tragedia che travolgerà il suo presente. La realtà diventa scadente e lui cerca una ragione di vita.
I Sorrentinismi affiorano e resistono come la scena di sesso con la Baronessa Focale (ottima Betty Pedrazzi), il personaggio di Mario (altra grande prova di Lino Musella), la sorella che esce dal bagno piangente a fine partita/film è vera o immaginaria? Mentre l’amico contrabbandiere in motoscafo e vespa sa di Napoli anni ’80. Alcuni fellinismi funzionano meno, come la chiattona con la mozzarella o la bellezza folle ed esplicita di zia Patrizia e forse l’idea stessa di biografia alla “Roma” o “Intervista”. La vicenda e la figura di Maradona aleggiano fin da subito, l’iter per arrivare al Napoli Calcio, un miracolo autentico evocato dallo zio Alfredo (la garanzia Renato Carpentieri) e infine i genitori - eccezionali - interpretati con armonia e grazia da Teresa Saponangelo e Toni Servillo.
Il regista appartato e di rottura Capuano è la summa della napoletanità libera e intellettuale in un certo senso. Guida morale che lo sprona a buttarsi e a non disunirsi, dal proprio vissuto e dal proprio dolore. Nel finale è il Guido de “I Vitelloni” a palesarsi nelle vesti del munaciello che saluta la transizione dal paese alla città, dalla realtà scadente alla finzione reale del cinema del giovane Fabio (bravissimo Filippo Scotti). La chiave del cinema di Sorrentino sta in quella frase urlata quando sono morti non me li hanno fatti vedere! Un mistero ora svelato in un film intimo e liberatorio per l’uomo. Ora però si auspica il ritorno alla fantasia dell’artista.
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