Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
CITTA’ DOLENTI--“il cinema non serve a niente, ma la realtà è scadente” è la voce di un Fellini divinità invisibile che si ode più o meno in coincidenza dell’epifania di Diego Maradona in auto: le parole acquisiscono il valore di una profezia destinata a essere compresa dal protagonista del film, l’introverso adolescente Matteo, innamorato dell’”Inferno”dantesco, alter ego dello stesso Sorrentino, quando il trauma della morte di entrambi i genitori e il ricovero in una clinica psichiatrica dell’amata affascinante Zia Patrizia lo spingono, varcata la soglia della “città dolente”, alla ricerca di una verità alternativa a quella insopportabile del “vero” simboleggiata dai corpi straziati dei defunti genitori che non gli lasciano vedere. La questione è vecchia come il mondo: arte e vita difficilmente si armonizzano, eppure senza l’una l’altra diventa compiaciuto virtuosismo privo d’anima. L’Amarcord di Sorrentino, sentito tributo forse a quello Felliniano, è così tutt’altro che l’affermazione del principio dell’arte per l’arte: il cinema è al contrario un iperuranio platonico, una dimensione ideale, al di là dello spazio e del tempo, dove il vissuto assume la forma poetica di ricordo, emozione, sogno, visione ed idea. “ E’ stata la mano di Dio” è allora un viaggio dell’autore all’interno del proprio stesso io, abitato dai fantasmi di un passato pronto a riaffiorare non appena evocato. Il sofferto recupero di un’identità smarrita o addirittura tradita nella metropoli abbagliante raccontata dalla “Grande bellezza” è necessariamente un ritorno a una Napoli interiorizzata, più mitica che reale, popolata da creature famigliari idealizzate dalla memoria. La città “dolente” mai più raggiungibile dove la mano di Dio ti asciugava le prime lacrime dal volto e ….chissà ancora ti salva.
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