Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
A dirigere È stata la mano di Dio è Paolo Sorrentino, regista e sceneggiatore nato a Napoli nel 1970. Nel 2001, il suo primo lungometraggio, L’uomo in più, è selezionato alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2004 gira Le conseguenze dell’amore e nel 2006 L’amico di famiglia, entrambi in concorso al Festival di Cannes. Nel 2008 con Il divo, torna a Cannes dove vince il Prix du Jury. Torna in concorso a Cannes nel 2011 con This Must be the Place e due anni più tardi con La grande bellezza con cui si aggiudica l’Oscar, il Golden Globe, il Bafta come Miglior Film Straniero e tre EFA. Selezionato ancora una volta in concorso a Cannes nel 2016, Youth - La giovinezza ha vinto tre premi EFA, ricevuto una candidatura agli Oscar e due ai Golden Globes. Nel 2016 firma la serie TV The Young Pope, candidata ai Golden Globe per la Miglior Interpretazione Maschile e agli Emmy Awards per scenografia e fotografia. Del 2018 è il film Loro con protagonista Toni Servillo. Nel 2019 gira la seconda serie ambientata in Vaticano, The New Pope con protagonisti Jude Law e John Malkovich.
Quasi tutti i momenti di È stata la mano di Dio sono vissuti attraverso gli occhi di Fabietto, fino a quando il giovane non li chiude mentre sfreccia verso una nuova vita nella sequenza finale del film. A 17 anni si trova in una fase della vita in cui tutto è sogno. Non ha ancora combinato nulla, non ha neppure una ragazza. Gran parte di quello che sa lo ha appreso dai libri o dalle conversazioni in famiglia sullo sport, la politica e i vari intrighi e speranze degli uni e degli altri.
Tuttavia, Fabietto è un osservatore naturale, dote che a giudizio di Sorrentino “può accendere una scintilla che ti porta a fare un lavoro di tipo artistico, che è esattamente quello che succede a lui. Le donne che lo circondano, ma anche suo fratello, suo padre e i pittoreschi parenti diventano il territorio che inizierà ad alimentare le sue riflessioni personali”.
“In ogni caso, quella è un'età maledetta”, osserva Sorrentino a proposito dell'adolescenza. “Vivi in un limbo, in quel territorio di mezzo tra il bambino che non sei più e l'adulto che non sei ancora. Dunque, il tuo rapporto con la realtà è già di per sé complicato. Per Fabietto, diventa ancora peggio perché perde il punto di riferimento dei suoi genitori e non sa come fare per rialzarsi in piedi”.
Essendo Fabietto il suo alter ego, Sorrentino cerca un attore non tanto che gli somigli come una goccia d'acqua, quanto che sia in grado di manifestare senza barriere emozioni personali davanti alla macchina da presa. Nel corso di audizioni aperte, conosce Filippo Scotti, un giovane esordiente italiano che, a insaputa di Sorrentino, coltiva anche un interesse per la regia. Fabietto diventa il ruolo di esordio come attore protagonista di Scotti.
“Tra tutti gli attori che ho provinato, Filippo era il più dotato e ho sentito che si adattava perfettamente al personaggio. Provo nei suoi confronti la stessa tenerezza che provo verso me stesso a quell'età”, dichiara Sorrentino. “Durante l'audizione non gli ho fatto molte domande, né gli ho chiesto della sua vita privata. L'importante per me è stato vedere che aveva la capacità di essere il protagonista di un film e di reggere questo in particolare sulle sue spalle”.
Scotti sostiene di aver preferito non indugiare nel cercare di compiacere Sorrentino. “Ho cercato di non pensare a cosa si aspettasse, perché probabilmente mi sarei agitato troppo. Leggendo la sceneggiatura ho invece cercato degli elementi di me stesso in Fabietto”, spiega.
Sono molte le qualità che sono risuonate. “Fabietto è taciturno e riflessivo, ma ha anche la tendenza ad analizzare troppo le situazioni. La sua timidezza gli complica la vita”, osserva Scotti. “Tra i 15 e i 17 anni, anch'io ho attraversato un periodo in cui ho provato sentimenti simili ai suoi. Non ho perso i miei genitori, ma mi sono sentito molto solo, anche se in modo diverso”.
Anche lui, come Fabietto, è stato un ragazzo che ha trascorso molto tempo in compagnia degli adulti. “A parte alcuni amici veri, sono sempre andato più d'accordo con persone più grandi di me, perché non mi sentivo a disagio insieme a loro”, ammette Scotti. “Forse a 16 anni non ero proprio così pensoso come Fabietto e di sicuro ero meno intelligente. Ma il viaggio che compie Fabietto nel film, a livello metaforico, presenta delle similitudini con il mio”.
Scotti è particolarmente affascinato dal rapporto che lega Fabietto con il fratello maggiore, Marchino. Hanno personalità quasi antitetiche, quindi si attraggono e si respingono come due poli magnetici. “Per Fabietto, Marchino è la causa di molta felicità, ma anche di tante delusioni”, osserva Scotti. “Marchino ha degli amici e persino una ragazza, mentre Fabietto no. Lui ha essenzialmente il suo Walkman e cerca rifugio nel suo rapporto con sua madre e suo padre. Ma nel corso del film, Fabietto incontra una serie di persone che lo scuotono e gli iniettano energia. Insieme a Capuano e Diego Armando, Marchino contribuisce a dare uno scossone a Fabietto”.
Benché Sorrentino abbia solo alcune conversazioni con Scotti, secondo il suo consueto modo di lavorare con gli attori, il giovane attore percepisce un legame. “Con Paolo, lavori in modo ordinato e tranquillo. L'atmosfera era sempre molto calma e questo mi ha aiutato tantissimo”, ammette. “Non dimenticherò mai un momento particolare con Paolo mentre eravamo in barca all'alba e Paolo mi ha detto: ‘Per me questo è il posto più bello della terra’. Lo ha detto con un tono di voce particolare e una tale sincerità, che in quel momento ho visto completamente l'uomo Paolo”.
I componenti della famiglia Schisa assomigliano molto a quelli della famiglia di Sorrentino così come era negli anni '80, persino nell'acuto e stridente fischio che i suoi genitori adottavano ogni volta che avevano bisogno di comunicare in modo non verbale.
Per ritrarre il padre e la madre del film con sfumature viscerali della vita reale, Sorrentino si rivolge a due attori che conosce bene. Nei panni di Saverio c'è Toni Servillo, il famoso attore e regista teatrale italiano che recita nei film di Sorrentino da quando è stato il protagonista de L’uomo in più, fino Il divo nel 2008, ruolo che gli è valso lo European Film Award che ha successivamente conquistato anche per La grande bellezza.
“Per me, Toni è come un fratello maggiore”, dichiara Sorrentino. “Ma è anche una figura paterna, dunque mi è apparso naturale chiedergli di interpretare il padre. È stato molto interessante per me osservare che, come tutti i grandi attori, malgrado non abbia alcun legame con il mio vero padre, Toni sia in qualche modo riuscito ad assomigliargli. È come un mistero magico che solo gli attori più straordinari sono in grado di compiere”.
Malgrado conosca bene Sorrentino, la sceneggiatura ha sbalordito Servillo. “Mi ha commosso fino alle lacrime e l'ho subito detto a Paolo”, ricorda. “È il sesto film che facciamo insieme e abbiamo una grande intesa, oltre a un profondo affetto e rispetto reciproci. È sempre molto eccitante lavorare con lui. Quindi, quando mi ha chiesto di interpretare questo ruolo, l'ho percepito più che altro come una prova che c'è qualcosa nel nostro rapporto che va al di là della dimensione professionale. Mi sono concentrato su questo sentimento e spero di essere riuscito a trasmetterlo, a lui e agli spettatori”.
Una cosa che sa per certa è che Sorrentino si aspetta che affronti il ruolo basandosi sul suo istinto. “Paolo tende a non dare mai molte linee guida prima di iniziare a lavorare su un film. Ma è molto preciso tra una ripresa e l'altra e sa come impartire indicazioni chiare in merito a quello che vuole ottenere una manciata di minuti prima del ciak seguente”, descrive Servillo.
A interpretare Maria c'è Teresa Saponangelo, che è stata diretta molte volte in teatro da Servillo e che conosce Sorrentino da anni. Rimane colpita dalla profondità dei sentimenti di Maria, che tiene unita la famiglia e tuttavia a volte va in pezzi. “Maria può essere triste e malinconica, ma anche vivace, gioiosa e divertente. Ha un'ampia gamma di caratteristiche che, quando appaiono tutte insieme, la rendono esplosiva. Sono stata felicissima che Paolo mi abbia offerto l'opportunità di interpretarla”, dichiara Saponangelo.
Nella prima parte del film, la storia tra Saverio e Maria possiede la vivacità di una storia d'amore, di un matrimonio con i suoi alti e bassi, costruito sulla tolleranza dei momenti dolorosi ed esasperanti. “Maria ama Saverio“, afferma Saponangelo, “anche se a volte lui la fa soffrire. Ho voluto esplorare questa contraddizione, una contraddizione che rende il personaggio e il rapporto molto interessanti.”
E queste non sono le uniche incongruenze di Maria. La sua propensione agli scherzi e a ficcare il naso dappertutto è in contrasto con il suo ruolo di madre affettuosa e tollerante di Fabietto. “Ha questo lato giocoso che tende a cogliere alla sprovvista tutti quanti, perché non ti aspetti che una persona che è la forza trainante della famiglia faccia di continuo la burlona”, osserva Saponangelo. “Maria oscilla in ogni istante tra felicità e tristezza, un'alternanza con cui personalmente posso identificarmi”.
Grazie alla loro pluriennale amicizia, Servillo e Saponangelo riescono a investigare il naturale rapporto tra marito e moglie, al contempo consapevole e leggero, scettico e fiducioso, scontento e affettuoso. L'atmosfera famigliare sul set amplifica tutto l'insieme, a giudizio di Saponangelo. “Le riprese sono state un'immersione totale non soltanto nel dolore ma anche nell'intimità di una famiglia composta di individui molto diversi”, dichiara.
Quando i ritmi della famiglia vengono scombussolati in modo così brusco, Fabietto e il fratello maggiore Marchino, aspirante attore, si ritrovano momentaneamente uniti nella pura e cruda onnipresenza del loro dolore. Ma le loro reazioni, come tutto quello che li caratterizza, sono in contrasto. E per quanto abbia il cuore spezzato per il giovane Fabietto, Marchino decide per conto suo come affrontare il futuro.
“È difficile per me parlare di Marchino come personaggio perché è indubbiamente molto vicino a mio fratello”, commenta Sorrentino. “È tipico della mia famiglia e di una certa mentalità di Napoli quel modo di ricercare sempre la leggerezza della vita anche nelle situazioni più drammatiche, di cercare sempre la nota leggera e il riso. Non è questione di essere superficiali, è una filosofia di vita. La codardia può essere una mossa astuta. È vero che può darsi che prima o poi i nodi vengano al pettine, ma non è detto, potresti non doverli mai affrontare”.
Marlon Joubert, che esordisce in un lungometraggio nei panni di Marchino, rimane affascinato dall'approccio gioviale alla vita del suo personaggio, ma anche dal suo amore per Fabietto. “Marchino è un ragazzo normale, come molti altri, ma coltiva i suoi sogni. Anch'io sono un fratello maggiore, quindi capisco il senso di responsabilità che provi quando hai un fratello più piccolo che ti prende come esempio”, afferma Joubert. “È un compito arduo e a 20 anni un giovane come Marchino è molto assorbito dalla propria vita. Eppure, tra i due fratelli, malgrado la naturale distanza, esiste un amore sconfinato e incondizionato”.
Joubert trascorre del tempo con Marco, il vero fratello di Sorrentino, per farsi un'idea più accurata di come i due fratelli si relazionino o non si relazionino. “È stato molto schietto nel raccontarmi della sua vita, malgrado tutte le difficoltà che ha avuto nel farlo. E questo mi ha aiutato molto nel mio lavoro”, sostiene Joubert.
Per Marchino, il dolore è qualcosa che forse si può superare. “Marchino non sembra voler affrontare il presente, ma nella realtà dei fatti penso che gestisca la sofferenza a modo suo”, riflette Joubert. “Ha delle difficoltà a digerire e razionalizzare tutto quello che è successo. Ha bisogno di erigere maggiori resistenze rispetto a Fabietto, che ha una propensione ad affrontare la situazione con maggiore coraggio. Ma anche Marchino trova la sua strada”.
Tuffarsi in emozioni e difese intense non è stato facile, ammette Joubert. Ed è stata una sfida anche riattivare quei momenti sotto la direzione dell'uomo che li ha vissuti in prima persona. “Entrare in una sfera così intima della vita di una persona che vedi tutti i giorni e che è anche il regista del film, è stata un'esperienza molto insolita”, sostiene. “L'unico modo di affrontare il compito era con totale sincerità, senza alcuna affettazione, senza fare commenti o riflettere troppo. Si trattava solo di stare lì con Paolo, di ascoltare le sue parole, di ascoltare persino il suo modo di dirle, e di cercare di entrare davvero in connessione con la scena e con le circostanze”.
La sfida crea un'insolita vicinanza tra gli attori. “Una delle cose più belle e magiche di questo film è stata i rapporti che abbiamo costruito”, riassume Joubert. “Non mi riferisco solo a quello tra il mio personaggio e quello di Fabietto, ma anche ai rapporti meravigliosi che sono nati tra tutti gli attori sul set”.
Un membro della famiglia Schisa che non si vede di frequente è la sorella Daniela (interpretata dall'esordiente Rossella Di Lucca), costantemente rinchiusa nel bagno di casa mentre gli altri aspettano ore e ore che ricompaia e sia disposta a lasciare il suo nascondiglio solo in casi sorprendenti.
Il personaggio, più che una macchietta comica, è un richiamo alla realtà. “Nei miei ricordi d'infanzia, mia sorella trascorreva letteralmente delle ore chiusa a chiave in bagno”, riflette Sorrentino. “La mia impressione era che si stesse sempre facendo bella per uscire, che si stesse sempre preparando. Solo anni dopo, quando eravamo ormai adulti, ho appreso che nutriva un profondo e segreto amore per me e per mio fratello che non era in grado di rivelare a quell'epoca. È per questo motivo che ho creato questo personaggio misterioso, la voce dietro alla porta che ammette la sua sofferenza solo quando tutti se ne vanno”.
Se Maradona fornisce un tocco del divino, in È stata la mano di Dio la forza terrena viene generata dalle donne del film, le cui doti di generosità, affetto e perspicacia mantengono Fabietto a terra quando il terreno gli viene a mancare sotto i piedi. “Ho avuto la grande fortuna di crescere in una città in cui le donne sono figure molto forti e rispettate che le persone prendono come esempio”, dichiara Sorrentino. “Come spesso capita nella vita reale, le donne del film la sanno più lunga degli uomini. Essendo un maschio, Fabietto scopre le cose tardi. Per la maggior parte, riesce a spiegarsele grazie al fatto che i personaggi femminili che costellano il film lo aiutano con la loro comprensione più precisa della vita”.
Tuttavia, Fabietto è anche un adolescente solitario e come tale pieno di desideri inespressi, costantemente sopraffatto dalla bellezza e confuso dal potere della sessualità. Sorrentino collega lo stato d'animo adolescenziale con il cinema stesso e le sue sottocorrenti di bramosia e desiderio.
Sostiene Sorrentino: “Quando Fabietto ha la fortuna di vedere il rapporto che esiste tra il cinema e la sfera femminile attraverso una fessura nella porta, è una rivelazione, un po' come quella che Fellini sostenne di avere con le donne: una rivelazione che lo portò a ritrarre le donne come essere sovrumani. Fabietto percepisce questo e in qualche modo lo fa suo. Non lo perfeziona nel modo in cui fece Fellini, ma sul piano visivo lo coglie”.
Due donne in particolare esercitano un'influenza monumentale su Fabietto. Una è la sensuale e sensibile zia Patrizia, che appare nella sequenza iniziale del film nel suo surreale incontro con il santo patrono di Napoli, San Gennaro, e il Monaciello, figura fiabesca del folclore napoletano e spirito malizioso che può essere sia benevolo che dispettoso.
Per Fabietto, Patrizia è una presenza straripante nella sua famiglia, al tempo stesso disturbata, spiritosa e comprensiva. Si sente attratto dalla sua bellezza, ma anche dalla sua vulnerabilità e dal suo spessore. Dichiara Sorrentino: “Spesso nelle famiglie numerose esiste una moglie o un marito che se ne sta in disparte, che pensa in modo diverso, che si comporta in modo diverso, che è persino diverso sul piano fisico ed estetico. E solleva la curiosità degli altri perché si colloca al di fuori della rete dei fatti conosciuti che connette una famiglia. Questo è vero di Patrizia, che ha una visione drammatica della vita, mentre gran parte della famiglia Schisa considera la vita come qualcosa che va vissuto con leggerezza”.
Luisa Ranieri, attrice napoletana conosciuta, tra le altre cose, per aver interpretato l'icona dell'opera lirica Maria Callas nella miniserie televisiva Callas e Onassis, si è presentata alle audizioni per il ruolo di Patrizia perché “qualcosa in lei mi ha profondamente toccata”, dichiara. “La sceneggiatura mi ha fatto ridere molto, ma mi ha anche profondamente commossa”.
Prova affetto e tenerezza nei confronti di Patrizia e della sua vita complicata a causa dei conflitti coniugali, della violenza, dell'infertilità e, a volte, della rabbia e della tristezza incontenibili. “Patrizia è davvero una donna allo stato puro. Quando ho letto il copione la prima volta, ho pensato a quanto spesso definiamo pazze le persone che non hanno filtri o che non trovano un posto nella società o che sono estremamente sensibili”, afferma Ranieri. “Quello che ritengo più interessante di Patrizia è la disperazione che prova. Lavorando con Paolo, abbiamo un po' accentuato questo aspetto, mettendo in evidenza le sue mancanze”.
Ranieri percepisce anche cosa lega Patrizia e Fabietto. “Secondo me quello che Fabietto vede in lei è il suo anticonformismo, oltre a provare un sentimento di attrazione. Lei lo fa sorridere e lo sorprende. D'altro canto, Patrizia è attratta da Fabietto perché sente che lui può comprendere chi lei è veramente. Il loro è un rapporto che si fonda su cose lasciate inespresse. Patrizia desidera davvero avere dei figli e penso che sia anche il desiderio di maternità a spingerla verso Fabietto”.
Sorrentino ha rivelato a Ranieri che il personaggio di Patrizia si ispira a una delle sue zie preferite. “Ma ovviamente è stata esagerata e portata a un estremo cinematografico”, precisa Ranieri. “Nel ruolo mi sono lasciata guidare da Paolo. Mi sono messa a nudo e a disposizione del personaggio”.
Un'altra donna, l'anziana e importuna Baronessa che vive al piano di sopra della famiglia Schisa, in modo inaspettato e improvviso offre a Fabietto un momento trasformativo. È interpretata da Betti Pedrazzi, che era stata precedentemente diretta da Paolo Sorrentino recitando con Toni Servillo nel film per la televisione Sabato, domenica e lunedì nel 2004. Qui, in una scena spiazzante e commovente, impersona una donna che sceglie di usare il suo potere per dare a Fabietto una spinta ad andare avanti, restituendogli un impeto di sentimento.
“È un episodio inventato, ma al tempo stesso reale per le emozioni che provavo in quel periodo della mia vita”, precisa Sorrentino a proposito della provocante scena. “Io ho avuto un'iniziazione sessuale più convenzionale, ma questa scena è, come lo sono altre nel film, una rielaborazione di cose che sono successe a me o a persone che conosco. Mi piaceva molto l'idea che questa donna anziana rendesse questo un atto di pura generosità. Per lei è una manifestazione di vero amore, nel senso che concepisce l'idea di poter aiutare questo ragazzo che soffre, di poterlo forse liberare di un piccolo problema tra i numerosi altri che lo affliggono in quel momento”.