Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Il terzo film di Paul Thomas Anderson è la parabola discendente di nove protagonisti, tutti connessi tra loro e tutti inevitabilmente insoddisfatti della loro vita e arresi al trascorrere degli eventi. Tutti tranne due, come a volerci mostrare una speranza, anche dove non sembra possibile che ancora ci sia.
Già a partire dal fiore che da’ il titolo alla pellicola, simbolo di dignità e perseveranza, fino alla scena finale in cui una pioggia di rane investe i personaggi, che nemmeno sembrano fare caso a questo strano fenomeno, troppo presi, come sono, dall’egoismo che li anima, che li porta ad essere concentrati perennemente solo su se stessi, è chiaro che il simbolismo finisce per farla da padrone.
La bravura di Anderson è da notarsi in due aspetti; 1) la capacità di creare una sceneggiatura che, nonostante la complessità degli intrecci che genera, riesce non solo a non perdere l’attenzione dello spettatore ma addirittura ad alimentarne la curiosità; 2) la bravura di essere riuscito ad individuare l’attore giusto per ogni personaggio disegnato dalla sua penna donandoci la percezione che tutti siano esattamente dove dovrebbero essere.
Tra tutti però prevalgono effettivamente in pochi, nonostante la prova attoriale sia da considerarsi superata per tutti. I miei preferiti a parità di considerazione sono: Julianne Moore, nei panni di una donna che si scopre innamorata di un uomo molto più grande di lei solo quando si trova sulla soglia della morte, William H. Macy, in quelli di un uomo dimenticato dal mondo, dopo che tutti hanno preso tutto e John C. Reilly, un poliziotto devoto, non solo alla sua divisa, alla ricerca dell'amore, non solo di Dio. Anche se i loro personaggi possono sembrare poco incisivi, credo che non sia sbagliato individuarli come personaggi che smuovono e cambiano gli eventi.
Pur possedendo la capacità di creare in chi guarda riflessioni costanti, le emozioni vengono tenute quasi a distanza. Laddove l’essere umano ancora una volta mostra il suo egoismo e non si concede nemmeno la possibilità di provare qualcosa.
Nonostante la durata, la pellicola dura tre ore, la visione è scorrevole e piacevole. Non annoia mai, lascia riflettere anche quando i titoli di coda hanno smesso di scorrere da un po’, lasciandoti dentro un sentimento misto, che passa dalla possibilità di mutare la considerazione della propria esistenza alla presa di coscienza che, quella stessa esistenza, è immutabile.
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