Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Il gioco citazionsta di Herzog, tenendo presente il modello dell’originale del ’22 di Murnau, è assolutamente pregevole. Dall’entrata in scena di Dracula, fino alla fine, il film ripercorre non solo la storia originale (con ovvie modifiche qua e là...), ma ne richiama la visionarietà espressionistica. Credo che più del regista, sia stato il mitico Klaus Kinski, a conferire più suggestione a tutta la pellicola intera. Il suo Nosferatu, che ritroveremo più in carne, più in eros e più “kinskiniano” nel quasi bello “Nosfeatu a Venezia” di Caiano del 1988, ha una potenza evocativa indiscutibile. Non solo ricorda senza rimpianti il Max Scherck dell’originale, ma sa dargli una sua impronta personale che corrisponde alla grazia e alla follia tipiche di Kinski. Qui, il suo personaggio è molto più vincolato dei suoi altri, proprio perchè è un personaggio preesistente. In ogni altra sua performance, Kinski sa fare suo il personaggio, e lo violenta fino a distruggerlo. La componente sofferente del Dracula di Kinski, è la chiave di lettura dell’opera di Herzog: il dolore, l’alienazione, e loro sublime rappresentazione.
Il lavoro di Herzog è incredibile. Riesce a dare alle immagini quella voce e quell’anima che ho visto fare solo al Maestro Ermanno Olmi. Herzog si sofferma sui paesaggi, allunga i tempi sul “niente”, per farlo diventare “qualcosa”. In più ha inserito nel suo film scene allucinanti, in cui la narrazione e la verosimiglianza vengono cacciate lontane, per lasciar spazio all’evocazione dell’immagine, dei suoi personaggi, e della sua oniricità.
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