Regia di Werner Herzog vedi scheda film
W. Herzog è considerato un "catastrofista": Fitzcarraldo è avvolto dalla leggenda, e Nosferatu, dunque, non poteva non essere una "catastrofe"! Ma non nel senso negativo: fine di una vita, fine di un mondo (arrivo della peste), distruzione di massa (si spiega così la scena inziale, come metonimia del finale), corruzione dei vaolri più nobili, puri (Adjani...), condanna per un mondo lontano dai sogni. Nosferatu, allora, è il film dell'inavverabile catastrofe.
Il principe misterioso Nosferatu vive appartato in un castello circondato dalla leggenda: quando il giovane Jonathan Harker deve fargli visita per trattare l'aquisto di una vecchia casa, l'essere si rivelerà uno spirito demoniaco. Ma la compagna dell'agente immobiliare è Lucy, capace di stravolgere le fantasie del vampiro e rendergli meno dolorosa la fine...
Meno dura di quanto occorrerebbe nel finale, un pò stridula nella prima parte (ma costretta dall'aspetto melenso della storia) rende bene la cupezza dell'opera nella parte centrale del film.
Un lavoro è il frutto di un'amalgama di troppi fattori: ma è così defficile cambiare un film di genere divenuto d'autore. Perciò, teniamocelo così com'è: un capolavoro nella sua dimensione non completa
Statico, ma necessario, appare troppo spento in alcune circostanze, e l'interpretazione è sovente appoggiata al timbro vocale più che alla postura.
Perfetto nella sua discesa agli inferi: da ragazzo innamorato ad uomo spaventato, fino ad assumere le sembianze del principe della notte, lavora sulla propria faccia senza tradire il personaggio, rendendoci credibili anche numerosi cambi di coerenza.
Mai così bella, eppure poco duttile, appare in tutto il suo splendore nel finale, quando può liberare l'energia che tiene stretta nella prima parte, dove l'aspetto accademico prevale sulla spontaneità. A tratti sottilmente isterica, è decisamente credibile come donna preoccupata di un tardo passato.
Unica vera interpretazione misurata, quasi sotto tono, senza prevalere sugli altri attori: decisamente Kinski era Nosferatu prima di farlo...Ma il merito va soprattutto al regista: condizionandone gli abiti e l'andatura costringe il mitico Klaus a esporre l'anima, ed abbandonare il gigione superficiale che mostra di essere in altri lavori.
Una regia di tradizione, ma non al servizio degli attori, spesso forti quando non necessario, bensì tesa all'asserzione di un principio: il bene può vincere solo apparentemente e così l'amore è solo una parentesi, necessaria ma dolente, la sopravvivenza è frutto di imposizioni, non di scelte. Assecondando sè stesso, Herzog lavora manieristicamente ma non superficialmente sui costumi, sui movimenti di macchina, sulle scene. E ottiene un singolare effetto: parla di oggi documentando il passato.
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