Regia di Marty Callner vedi scheda film
George Carlin, un microfono e una platea: un’ora e venti di monologo corrosivo su temi come la paura della morte o la censura delle parolacce in tv, sul rapporto che abbiamo con il tempo e sulle assurdità della vita quotidiana.
Questo spettacolo di George Carlin parte un po’ alla chetichella, con uno sketch visivo (una serie di foto del comico, da bambino, raccontate in maniera stravagante in voce off) e una lunga intro a base di battute sparse; poi un altro paio di segmenti staccati dal resto del materiale (alcune battute nonsense e qualche minuto di Al Sleet, the hippy dippy weatherman) e si è già arrivati a metà dello show. La seconda metà è però maggiormente coesa; consta di un lungo monologo strutturato essenzialmente su due argomenti – la paura della morte e quella delle parolacce – ed è senz’altro quella che funziona meglio nel complesso, anche se la prevedibilità di una tematica quale le ‘bad words’ riduce per lo meno il tiro delle bordate di Carlin, in genere più caustico e più originale nelle sue invettive. Curioso il palco rotondo, con il pubblico seduto tutto attorno, nel quale avviene l’esibizione; nel finale il comico invita a raggiungerlo sua moglie Brenda, che è anche la produttrice dello spettacolo. Nota sul giovane regista, Marty Callner: farà strada sia in tv, lavorando con altri comici (Jerry Seinfeld, Robin Williams), che – soprattutto – nella musica, dirigendo una valanga di videoclip di artisti quotati. 5/10.
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