La recensione su Sugar Colt

Primo film per l’attore americano Jack Betts che veniva dalla tv, e primo Spaghetti-Western per il di lui alter ego Hunt Powers. Giraldi appena dopo il successo dei McGregors gira quest’ironico western dalle varie sfacettature che anticipa non di poco i toni scanzonati di Trinità e figli. Tra la commedia western di Barboni e il taglio ironico di Giraldi, come di altri titoli brillanti precedenti al film con Terence Hill e Bud Spencer, ci sono certe e precise differenze. In Giraldi l’elemento comico è ornamentale, quasi parodico, si gioca sugli stereotipi e si conferisce loro un ruolo marginale finanche episodico all’interno del film. In Lo Chiamavano Trinità invece la commedia diventa lo spirito intimo del film ed invade il genere senza intaccarne lo spessore mitico, tant’è che Trinità è per tutti un cult alla stregua di Per Un Pugno di Dollari. Tutt’altra cosa sono i film comici ambientati nel West dove di genere c’è solo l’ambientazione e uno stralcio di trama.

In Sugar Colt Giraldi ha a disposizione un ambiente impareggiabile come il deserto di Tabernas, in particolar modo Las Salinas utilizzata nella maggior parte delle scene in esterni, e un reparto di brutte facce che comprende José Canalejas, Victor Israel e Frank Braña. Completano il cast caratteristi come Pajarito, Osiride Peverello e un giovane Riccardo Pizzuti per una volta dalla parte dei buoni, più una doppietta femminile sulle righe composta da Gina Rovere e Soledad Miranda. Con questo materiale umano e ambientale il film poteva davvero raggiungere un alto grado di gradimento iconografico, ma resta ancora oggi misconosciuto e senza un grande seguito. Peccato, perché non è male nemmeno la modulazione narrativa che il regista ha ricamato intorno ai luoghi “storici” del western all’italiana. La storia è quella di un tale Tom Cooper che insegna a sparare alle donne, il cui amico Pinkerton gli chiede una mano per risolvere il mistero del contingente nordista sparito a Snake Valley. Quando verrà ucciso da Erno Crisa e dai suoi brutti ceffi, il dandy Tom Cooper diventerà un alcolizzato medico sulle righe, tipica macchietta del genere qui amplificata secondo ragione, per indagare indisturbato sul fattaccio. Arrivato a Snake Valley, che non è altro che l’immortale El Paso di Per Qualche Dollaro in Più, ovvero l’attuale Mini-Hollywood, inizia le indagini interpretando la parte dell’allocco. Ma fino ad un certo punto. Con una simpatica scazzottata infatti, mette in chiaro che non è il pivello che tutti credono, ma non svela ancora di essere il temibile Sugar Colt. Svestirà teatralmente i panni del medico ubriacone dopo la morte di Pajarito, pianista del saloon con il nome di Agonia, che aveva osato aiutarlo. Da qui il film prende un tono completamente diverso. Diventa veramente western, si oscura in certi momenti, e si chiude con una scena quasi surreale che dà al film un insperato tono tragico e fantastico.

Tratti davvero notevoli sono l’uso dell’oppio con cui droga i rivali per sentire se spifferano qualcosa e, immediatamente dopo, il risveglio dei nordisti segregati dal cattivo generale sudista-feticista – dopotutto tenere imprigionati dei soldati vincitori a guerra finita sa più di ossessione morbosa che di azione bellica. Di tale tono è anche l’agnizione di Sugar Colt con tanto di sparatoria iperrrealista che segna una cesura definitiva con la prima parte del film, e chiaramente l’ultima scena che vede i soldati nordisti deambulare come zombie contro il loro aguzzino. Se il film non è un piccolo capolavoro come sostenne Kezich all’epoca, è sicuramente un titolo tra i più interessanti per notare le “mille sfacettature” con cui Giraldi sosteneva si potessero girare soltanto i western.