Regia di Peter Rush (Filippo Maria Ratti) vedi scheda film
Jean Duprey, famoso giornalista, riceve una misteriosa lettera da un amico in fin di vita. L'arguto Jean corre a trovarlo e scopre che sulla famiglia dell'amico pende una oscura maledizione.
Si firma Peter Rush, ma dietro lo pseudonimo c'è Filippo Walter Ratti, mestierante non disprezzabile che cominciò a girare prodottini marcatamente alimentari negli anni Quaranta e rimase confinato nel cinema di genere fino al termine della sua carriera, verso la fine dei Settanta. Qui Ratti/Rush gioca la carta del thriller, molto popolare in quel periodo (erano i tempi dei primi grandiosi successi di Dario Argento, d'altronde), e con una sceneggiatura di Aldo Marcovecchio mette in scena la classica storia gotica-di paura ambientata nel solito castello infestato dalla consueta strega maligna. Eppure il ritmo c'è, la suspence non manca e personaggi e dialoghi sono discretamente rifiniti, specialmente il protagonista (un buon Pierre Brice), sottilmente ironico; il cast è probabilmente la nota maggiormente dolente dell'intero lavoro, non prevedendo nomi capaci di attirare il pubblico (e passi), ma neppure interpreti sufficientemente solidi, spesso. I nomi principali sono quelli di Patrizia Viotti, Alessandro Tedeschi, Mario Carra, Angela De Leo e Carla Mancini: tant'è. Pochi mesi prima Ratti aveva licenziato il drammatico Erika, con cast simile, cosa che lascia presupporre una lavorazione contemporanea (o consequenziale) dei due film, assolutamente normale a quei tempi. 4/10.
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