Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film
Era l’edificio svuotato dell’Intervallo, era il quartiere degradato dell’Intrusa, adesso è la prigione in disarmo di Ariaferma: Di Costanzo arriva sempre ad un unico luogo in cui fa avvenire degli incontri come su un’arena, a osservare i risultati inevitabili di combinazioni imprevedibili. Qui è l’incontro di un poliziotto (Servillo) e di un detenuto (Orlando), che potrebbe dare risultati che riscrivano i rapporti predeterminati che tutti immagineremmo.
La narrazione principale di Ariaferma fa riferimento a un problema italiano anche troppo poco citato, ovvero l’idea che la prigione non sia un luogo punitivo ma un luogo di riabilitazione. Orlando, infido criminale in prossimità della fine di pena, comincia a prendersi sempre più confidenza con Servillo, che deve prendere posizione per gestire gli ultimi 12 detenuti di una prigione che sta per chiudere.
Forse un po’ divorato dalla bravura di attori mai così professionisti nel suo cinema, Di Costanzo tenta una strada più “Rai” per raccontare sempre il suo mondo umilmente umano ma decadente. Questo comporta che la tensione drammatica sia più convenzionale e che abbandoni qualsiasi camera a mano per dolly e steady cam più adatte a un formato accademico e ben vendibile. Ne va della genuinità del film ma non della sua sincerità, né del calore crescente che si va instaurando fra gli esseri umani in scena, con un’apice commovente nella cena al centro del salone delle celle e la risistemazione delle celle a suon di mani che applaudono in stile Steve Reich. Un film grigio e rigoroso, che trova però spiragli di tenerezza in modi più prevedibili del solito.
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