Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film
Riesce soltanto per metà questo racconto di vite incarcerate, accusando soprattutto la mancanza di un focus narrativo, e l'incapacità di coinvolgere nelle storie personali dei protagonisti. Orlando e Servillo sono preposti a reggere il tutto, ma, specie il primo, è totalmente imbrigliato e inespresso. Non brutto, ma "sbagliato".
Aria ferma, sguardi vuoti, vite sospese. Carcerati che fanno il lavoro dei carcerieri, e viceversa. Negletti che additano il più negletto. Una prigione che, proprio nel momento in cui si avvia alla fine del suo tempo, sembra iniziare a pulsare e vivere.
L'opera di Di Costanzo si gioca sul non detto, sulle aspettative. E' un lavoro di sottrazione, quasi minimalista. Forse troppo.
Nell'ex carcere di San Sebastiano a Sassari, in arte Mortana, si aggirano quasi spettrali detenuti in attesa di un trasferimento che ogni giorno potrebbe essere "anche domani", sorvegliati da guardie altrettanto impazienti di liberarsi.
In fondo, la vita in prigione, da una parte o dall'altra delle sbarre, non è poi così dissimile. Quasi un The Experiment al contrario: lì compagni di corso, guardie e detenuti per finta, si scannavano, mentre qui quelli "veri" percorrono lo stesso sentiero ma nel verso opposto, finendo così per colmare le distanze.
La presenza di Silvio Orlando e di Toni Servillo impreziosisce l'opera, garantendo solidità e credibilità nei rispettivi ruoli.
Sui protagonisti aleggia un'aura di mistero amplificata dalle mura cadenti della costruzione ormai fatiscente (nella realtà l'edificio era già stato dismesso da oltre vent'anni all'epoca delle riprese), che una fotografia a tratti sottoesposta e desaturata cerca di sottolineare, pur sembrando incedere a tratti quasi ostentatamente nel rigore figurativo. In questo contesto risalta, purtroppo negativamente, l'uso del bianco e nero, che mal si raccorda con il resto, sia visivamente che narrativamente.
Senza eccessi nè sbavature, l'autore sembra voler offrire un punto di vista asettico e quasi acritico, rappresentando uno spaccato di vita carceraria, e rimettendo allo spettatore qualsiasi valutazione e interpretazione. In questo senso, lo si potrebbe definire un lavoro essenziale e minimale.
L'operazione non è perfettamente riuscita: il gioco sulla suspance funziona per un po', ma alla fine è un'arma a doppio taglio, che ingenera inutili aspettative poi non soddisfatte. Un film drammatico, che non ha ambizioni diverse, avrebbe dovuto evitare di ammiccare ad altri generi, e, invece, focalizzarsi maggiormente proprio sugli aspetti drammatici. Nonostante le quasi due ore di durata, però, non riusciamo mai a inquadrare correttamente i personaggi, le loro storie, le psicologie, e i pensieri. Silvio Orlando e Toni Servillo sono caricati dell'intero peso dell'opera, che in definitiva si gioca proprio sui loro confronti. Purtroppo anche le interazioni sono minimali e superficiali, sconfinando anch'esse nel campo delle aspettative tradite. Verrebbe anche da dire che Orlando nei panni del boss della camorra non sembra proprio credibile, così come stona completamente il comportamento rispetto al personaggio. Passi per la compassione e la generosità, ma addirittura umiltà e il servilismo poco si addicono a uno che dovrebbe essere abituato a impartire ordini e aver scalato il potere come efferato criminale.
Il regista ha chiaramente scommesso tutto sulle due stelle, tanto da averle circondate di attori totalmente privi di fama e affermazione, e in qualche caso perfino dilettanti: per "osare" tanto, però, si sarebbe dovuto dare molto più spazio al confronto, che invece resta relegato alla superficie e a un paio di battute trascurabilissime.
Le dinamiche relazionali e interazionali sembrano assai poco verosimili, tanto da sembrare frutto di fantasia proprio come le montagne e le campagne virtuali che circondano il carcere, nella realtà collocato in centro città (a Sassari, appunto).
In Ariaferma i principali pregi sono anche i principali difetti, e viceversa: un cast illustre ma soltanto nella coppia Orlando-Servillo, un minimalismo apprezzabile in tempi di esagerazioni cinetelevisive, ma spinto al punto di non dar vita a nulla di interessante a livello narrativo, e, infine, una purezza espositiva che non scende a compromessi con facili spunti, ma che, purtroppo, non rinuncia a preannunciarli.
Al netto di tutto, domandandosi se in assenza del duo Orlando-Servillo sarebbe valsa ugualmente la visione, la risposta è "probabilmente no", ma, dall'altro lato, la fortissima limitazione e compressione dei rispettivi personaggi insinua il dubbio: forse la loro assenza, pur impoverendo il risultato finale, non avrebbe poi alterato granchè.
Non riesco a vedere, nel regista, un autore "arrivato": anche la fotografia, spesso encomiabile, sembra però trasudare assai più tecnica che arte, affastellando una serie di tentativi di colpire, e inquadrature "da manuale", che però non legano con il contesto e sembrano appunto estrapolate ad hoc.
La pecca più grave? Non emoziona. Anche perchè non "viviamo" nè scopriamo a sufficienza nessun personaggio, e così anche i loro drammi somigliano più a sterili rassegne, anzichè a partecipazioni effettive.
Nel panorama cinematografico contemporaneo risulta un'opera al di sopra della media, ma i deficit sono tanti, e si percepiscono.
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