Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film
“Ariaferma” non è un film di denuncia, né un dramma carcerario. E’ un film politico. Leonardo Di Costanzo – con il racconto di un esperimento dettato dall’emergenza e la suggestiva ambientazione metafisica in un vecchio carcere in dismissione – compone un trattato del sistema carcerario e delinea un quadro sociologico dell’Italia odierna.
L’incontro iniziale intorno ad un fuoco, confidenziale e informale tra colleghi agenti, mette in chiaro soprattutto il carattere dell’ispettore Gargiulo: l’aneddoto della tortora sparata alla cieca, ferita e curata da bambino. Da adulto prende le redini della casa circondariale per età ed esperienza e, da quel momento, gestirà alcune situazioni in modo saggio, responsabile e inedito. Il conterraneo Lagioia è il suo contraltare con il quale non ha niente in comune ma che deve vigilare e al quale deve chiedere aiuto per risolvere alcune contingenze inaspettate. Si potrebbe parafrasare la poesia ‘a livella di Totò, riguardo al principio di uguaglianza dentro le mura carcerarie tra detenuti e guardie: tutti nella medesima condizione, come detto in una salace battuta da Lagioia. La platea di carcerati e agenti è un campione esemplare di vari caratteri e condizioni esistenziali: l’anziano tenuto lontano dagli altri perché in odor di pedofilia; i camorristi che tendono a fare i pupari; il giovanissimo Fantaccini, debole e indifeso che diventa esempio di solidarietà (elemento essenziale tra carcerati) e di rispetto nel momento in cui porge una mano d’aiuto al reietto Arzano. Stesso discorso vale per gli agenti, tra cui spiccano i giustizialisti alla Coletti o quasi alla Sanna. Le sovrastrutture, i pregiudizi decadono quando ci si trova sotto lo stesso tetto istituzionale: abbandonati e dimenticati. Non ci si sbrana, ma ci si avvicina trovando punti in comune e in automatico la fiducia reciproca cresce.
Di Costanzo indica la strada per superare le assurdità del carcere, i protocolli eccessivi e inutili. Film politico dicevo in apertura, ché fa del garantismo la sua coraggiosa bandiera in tempi in cui faciloneria, ignoranza e giustizialismo atavico dominano ovunque e senza controllo. Sono svariati i momenti, le scene convincenti di una pellicola che tiene sempre alta l’attenzione e la tensione morale: la compassione musicata da Scialò sottolinea la pietas di Fantaccini per Arzano; l’ultimo dialogo a cercare verdure tra Lagioia e Gargiulo. E a tale proposito, saranno bravi Silvio Orlando e Toni Servillo nei ruoli principali ma Fabrizio Ferracane/Coletti è un mostro d’attore.
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