Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film
Sono sicuro che Leonardo Di Costanzo sarebbe moderatamente felice di leggere una recensione positiva di un pinco pallino qualsiasi come il sottoscritto. Rimane pur sempre una soddisfazione incontrare il gusto del pubblico e raccogliere feedback che spronino a continuare sulla strada intrapresa di un cinema di qualità appena sussurrato. Avrebbe, al contrario, motivo di gioire profondamente se al film venisse impartita la benedizione di un addetto ai lavori, nella fattispecie di una persona che si occupi di detenuti, agenti e funzionari che contribuiscono, in vario modo, a far roteare l'ingranaggio di un carcere perché è proprio lì che "Ariaferma", ultima fatica di Leonardo Di Costanzo, si svolge.
Se scrivo tutto ciò non è per nulla. Ovviamente. "L'endorsment" è arrivato, puntuale, in un articolo del "Corriere della Sera" dello scorso 8 novembre, e mi auguro sia giunta all'orecchio del regista napoletano la soffiata sul pezzo.
Il film, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, merita tutte le attenzioni del caso, non solo quelle degli amanti della celluloide. Ha intercettato, sicuramente, quelle di Teresa Mazzotta, direttrice della Casa Circondariale di Bergamo che l'ha visto in un cinema della città e l'ha elogiato per la capacità di affrontare il tema carcerario con realismo e sincerità. Spero dunque che Di Costanzo abbia letto le critiche lusinghiere arrivate dall'interno del sistema. Permettendomi di esprimere un parere credo che il favore della direttrice derivi dalla sensibilità del regista (anche sceneggiatore insieme a Valia Santella e Bruno Oliviero) nell'accostare il tema senza sottostare ai cliché del "prison movie". Per chi volesse affrontare il film è bene dimenticare il cinema americano, tanto nei contenuti quanto nell'estetica. Non c'è un continuo susseguirsi di violenze, non ci sono tute arancioni, killer psicopatici in isolamento, innocenti ingiustamente rinchiusi tra le sbarre di una cella. Nessun prigioniero ridotto a schiavitù sessuale o secondino corrotto albergano nel carcere in dismissione di Mortana. "Ariaferma" è, piuttosto, un ritratto dell'Italia "libera". La fotografia di un paese che misura il proprio livello di civiltà nell'attenzione ai propri carcerati: uomini e donne che hanno commesso errori, anche molto gravi, che devono scontare la pena a seguito del crimine commesso ma dovrebbero essere rieducati per ritornare, cambiati ed inseriti, in società. Invece il nostro Paese sembra impantanato nelle stesse sabbie di sempre che lo rendono incapace di provvedere alla rieducazione quanto alla pena.
La struttura che ospita il carcere di finzione di Mortana ha l'aspetto tragico e decadente del nostro Paese. Di Costanzo l'ha assurta a palcoscenico di un sistema che si arrangia come può, molto spesso per la volontà ed il senso civico di poche persone che considerano il loro lavoro una missione, un impegno spesso schiacciato sotto il peso di mancanza di fondi, burocrazia, rigidità, sovraffollamento. Luca Bigazzi sfrutta le immense potenzialità sceniche della vecchia struttura in disuso trasformandola nel teatro di un Italia immobile e sonnolenta. L'ambientazione è contemporanea ma la messa in scena è così minimalista da poter credere che le vicende narrate siano accadute 30 o 50 anni prima. Sempre uguale e così sia. In una struttura ottocentesca che mi richiama alla mente un convento con i suoi orti e il refettorio dodici detenuti ed un gruppo di agenti sono costretti a rimanere oltre la data di chiusura del carcere in attesa di essere smistati altrove. I detenuti però non ci stanno a sottostare alla mancanza di una cucina funzionante e alla sospensione dei loro diritti come le visite dei familiari. La tensione sale inevitabilmente a gravare sulle spalle dell'agente capo Gaetano Gargiuolo (Toni Servillo) e del suo antagonista, il carcerato Carmine Lagioia (Silvio Orlando) che si elegge a rappresentante dei detenuti.
La tensione rimane alta senza bisogno di spargere sangue o impartire manganellate alle ginocchia. Alla fine il dialogo batte ogni proposito di violenza sancendo un avvicinamento tra le parti chiamate e dirimere le divergenze. Il buon senso, qualche rischio e la voglia di mettersi in gioco sono fondamentali per gestire momenti di attrito, crisi complesse che rischiano di destabilizzare un sistema che si regge sulle regole e sulla volontà di rispettarle. "L'ultima cena" consumata tra guardie e detenuti è l'emblema mistico di questa volontà di cooperare. Gargiuolo spezza il pane e mesce il vino mentre gli undici si cibano e brindano nel Cenacolo buio dove la luce tenue che si posa su ognuno nasconde le (dis)umane differenze. Il vecchio "Giuda" che ha tradito l'umano comandamento di non toccare i bambini viene ammesso, un po' in disparte, al banchetto della concordia. È un attimo. Il mondo torna a girare allo stesso modo. Con un pizzico di umanità in più allontana, però, il calice amaro della Passione.
Film, condannato, ahimè, al passaggio senza concorso nonostante due giganti a sorreggerne le sorti.
Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara
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