Regia di Alessandro Grande vedi scheda film
Intenso dramma umano. Tema non originale, ma ben sviluppato .Ottima la prova attoriale della giovanissima protagonista
Siamo in Calabria, Luigi un ex bassista, dopo la prematura morte della moglie, ha interrotto una promettente carriera di musicista e si arrangia ora con piccoli lavoretti, presso una piscina; ha una sola figlia Regina, quindicenne talentuosa dalla voce cristallina, alla quale si dedica a tutto tondo. La giovane protagonista, ambisce a sfondare nel mondo dello spettacolo, e il padre, che ha riversato i suoi sogni infranti in quelli della figlia, la supporta completamente, la sostiene nei piccoli concerti, pianifica incontri, provini, cerca i contatti per agevolare la sua carriera. Il legame fra loro è intenso e costante, lui le tinge i capelli, lei gli pratica le iniezioni necessarie per stemperare un cronico dolore alla schiena. Poi un giorno, mentre i due stanno facendo una gita in barca al lago, non riuscendo a vedere in tempo un sub, che sta praticando un’immersione, lo travolgono con lo scafo. Regina vorrebbe prestargli soccorso, ma Luigi ritenendo che sia già morto, lo abbandona al suo destino, scappando via. Il cadavere sarà ritrovato dopo qualche giorno. Luigi intanto ha venduto la barca e per evitare problemi, impone alla figlia di non farne parola con nessuno. Regina al contrario del padre sente il peso del rimorso, non riesce a farsene una ragione, mentre Luigi da instabile e immaturo qual’ è, pretende che la figlia ignori l’incidente e prosegua la sua strada. Ciò farà saltare l’equilibrio del loro rapporto e li metterà in conflitto; lei cerca di dare una mano ai familiari del defunto per silenziare i suoi sensi di colpa; Luigi reagisce con violenza, la chiude in camera, lei scappa di casa, lui si mette maldestramente a cercarla, litigando con il suo fidanzatino e col padre di lui; Luigi spronato dalla sua compagna e preoccupato si reca in caserma, per fare la denuncia di scomparsa, ai carabinieri, ma all’ultimo momento si blocca e rinuncia. Nel frattempo Regina acquattata clandestinamente nella casa dei familiari della vittima, li sta scrutando per capire, per trovare un senso a ciò che è successo. Un racconto tra film di genere e romanzo di formazione lungo il filo rosso del senso di colpa e delle responsabilità. Ovviamente il tema non è affatto nuovo, si pensi al “Capitale umano di Virzì” per fare un esempio recente, tuttavia “Regina” che segna l’esordio al lungometraggio di Alessandro Grande, mostra una sua freschezza di scrittura e una sincerità di fondo, che lo differenziano in positivo dai prodotti cinematografici similari; la regia insiste sul tarlo del rimorso, sull’impossibilità di andare avanti; la macchina da presa indugia soprattutto su Regina, la giovane attrice che l’interpreta è bravissima, si insinua nella sua indole e cerca di scavare nella sua anima. Il racconto dei demoni interiori di un’adolescente rischia spesso di tradursi, in una rappresentazione stereotipata, dello spirito ribelle e talvolta autodistruttivo, tipico di quell’età di passaggio; invece il giovane cineasta sfugge a quei cliché, e riesce a scrutare nella psicologia, di una ragazza, che ha dei valori e che quindi non riesce a perdonare sé stessa e tanto meno il padre. L’evento è talmente traumatico da destabilizzare la ragazza, spingendola a ridefinire le coordinate della sua vita, a rideterminare le priorità, a interrogarsi sulle sue reali attitudini e anche a ridimensionare il ruolo del padre fino ad allora idealizzato, ma che invece dimostra fragilità e incapacità ad affrontare responsabilità; il rapporto genitore-figlio viene analizzato con uno sguardo insolito: i ruoli sono capovolti: la ragazza ha una maturità che la porta a vivere con sofferenza quello che è successo, mentre il padre reagisce infantilmente, con la fuga dalla realtà e la negazione della tragedia. Per questa opera, il regista originario di Catanzaro, sceglie come “location” una Calabria insolita, nel cuore della Sila, in cui prevalgono paesaggi lacustri, che si coniugano felicemente con lo stile della storia; non mancano, sotto traccia, allusioni alla criminalità organizzata. Il limite, del film è lo scarso approfondimento delle figure secondarie, ma in un’ora e venti, non si può dire tutto. Nonostante alcune ingenuità narrative, la pellicola riesce a rappresentare bene il disagio in cui versano i due personaggi. "Regina" mostra tutti i difetti delle opere prime, ma ha anche il pregio di non adeguarsi a una produzione stereotipata, andando a cercarsi un linguaggio proprio.
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