Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
"Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio."
(Stanley Kubrick)
Siamo nel 1968. Stanley Kubrick, a quattro anni di distanza da Dr. Strangelove, torna nelle sale cinematografiche. Questa volta con un film di fantascienza, basato su un soggetto di Arthur Clarke.
Poche persone, all'epoca, si resero effettivamente conto dell'importanza di questo evento.
Ad oggi possiamo dire, invece, che 2001: A Space Odyssey non ha solo cambiato un genere, ma ha posto le basi per un nuovo modo di fare e di vedere il cinema. Un grande manifesto che si è interrogato sul senso stesso del guardare, rivendicando, con estrema potenza, l'importanza, anzi, la necessarietà dell'esperienza visiva.
Tra filosofia e fantascienza: due nuclei narrativi
L'intero film può essere diviso in due nuclei narrativi. Il primo, quello più interno, racconta di due missioni segrete unite fra loro; il secondo, invece, prende in considerazione un periodo di tempo decisamente maggiore e, più che raccontare una storia vera e propria, cerca di rispondere ad un grande quesito di natura filosofica.
- Primo nucleo narrativo:
Il dottor Heywood Floyd viene chiamato per una missione su una base lunare dove è stato rinvenuto un monolito nero, sotterrato da milioni di anni: potrebbe essere la prova dell'esistenza di vita extraterrestre.
Proprio durante la visita allo scavo, il grande masso rettangolare si attiva ed emette un forte segnale radio in direzione di Giove.
18 mesi dopo, sull'astronave Discovery One, un equipaggio di astronauti è in missione verso Giove, ignaro del vero motivo della spedizione.
- Secondo nucleo narrativo
Il secondo nucleo, in un certo senso, è la storia, proiettata verso il futuro, dell'evoluzione dell'umanità: dai primi ominidi alle spedizioni spaziali all'interno della galassia.
Come ho detto prima, però, questo secondo blocco contenitore non ha solo una funzione narrativa; anzi, si potrebbe dire che non è questa la sua funzione principale.
Stanley Kubrick, infatti, con 2001: A Space Odyssey ha voluto realizzare una vera e propria odissea umana che si interrogasse sul senso della vita e sul senso del viaggio verso l'ignoto, inteso come meta da raggiungere per poter acquisire una sapienza/forma superiore.
All'interno di questo schema, dalle impronte fortemente filosofiche, si muovono i personaggi della trama che ora però assumono una funzione completamente nuova. Infatti, sotto questa luce, Il comandante della Discovery non appare più come un semplice membro di un'equipaggio spaziale: David Bowman si trasforma in un moderno Ulisse che, abbandonando l'astronave per lanciarsi verso Giove a bordo di una capsula, tenta il folle viaggio oltre i confini dell'umanità, per scoprire il segreto che si cela dietro la misteriosa e imponente figura del monolito nero.
Cosa trova Bowman alla fine del viaggio?
Come per le scimmie, poste all'inizio del film, il comandante della Discovery vede davanti a sé, sul letto di morte (all'interno della piccola dimora che è oltre lo spazio e il tempo), il monolito nero, che si attiva ancora una volta: è l'inizio di una nuova fase evolutiva. Sulle note del poema sinfonico Also Sprach Zarathustra di Richard Strauss (la scelta del brano, come il suo titolo, non è stata casuale) prende forma e vita lo Star-Child, il feto cosmico: un essere superiore (proprio come il superuomo nietzschiano) che è potuto rinascere perché ha saputo spingersi oltre, dove nessun uomo era mai riuscito ad arrivare.
Tecnica e stile: dalla maestosità visiva al raccordo
2001: A Space Odyssey è un'opera fondamentale anche perché, dal punto di vista tecnico-stilistico, rappresenta un punto nuovo ed estremamente significativo nell'evoluzione del linguaggio cinematografico.
Il risultato stilistico complessivo è di forte impatto visivo: le astronavi (riproduzioni di progetti della NASA) che danzano nello spazio; i piani sequenza e i curiosi movimenti di macchina negli interni; l'uso della prospettiva centrale (molto cara a Kubrick) e la maniacale attenzione per i dettagli.
Non a caso la maestosa bellezza di 2001: A Space Odyssey ha influenzato intere generazioni di registi.
A questo proposito, è giusto citare il famoso e geniale raccordo che il regista americano utilizzò nella prima parte del film per legare due inquadrature divise da un lasso temporale di circa 4 milioni di anni (l'era dei primati, per la prima, il 2001, per la seconda).
La narrazione classica, in un caso del genere (per evitare un disorientamente del pubblico), avrebbe imposto di dichiarare il salto temporale, attraverso una didascalia o una voce fuori campo. Kubrick, invece, propose una nuova soluzione: il lancio dell'osso della scimmia Moonwatcher (simbolo di potere per i primati) che, volteggiando per ora, si trasforma (da un punto di vista strettamente teorico) in un'astronave di simili sembianze (simbolo di potere espansionistico umano), proiettando avanti lo spettatore di milioni di anni.
Hal 9000 e l'intelligenza artificiale
"La mia mente sta svanendo. Non c'è alcun dubbio. Lo sento. Lo sento. Lo sento. Ho paura."
HAL 9000 è il computer di bordo dell'astronave Discovery One, dotato di intelligenza artificiale. La macchina, che non è in grado di commettere errori, ascolta, interroga e si rivolge ai componenti dell'equipaggio. È, in sostanza, il sesto elemento del personale di bordo (nonché l'unico a conoscere il vero scopo della missione).
Durante la spedizione, però, il computer commette un errore e, temendo di essere messo da parte da Bowman e Poole, si ribella cercando di prendere il controllo sbarazzandosi dei membri dell'equipaggio.
HAL, emblema dell'evoluzione tecnologica, è stata una grandissima fonte d'ispirazione per le produzione cinematografiche successive, grazie anche alla maestria di Kubrick nel realizzare un personaggio/macchina così lontano, ma allo stesso tempo vicino alla natura umana (come lo si può evincere dalla sequenza della sua disattivazione).
L'esperienza visiva (l'occhio siderale)
Prima di tutto, però, c'è l'atto del guardare.
2001: A Space Odyssey prima di essere un poema-fantascientifico dai risvolti filosofici, è un importantissimo manifesto sull'esperienza visiva. Sono molteplici, infatti, i rimandi al concetto della visione: HAL 9000 (rappresentato come un occhio-lente) e David Bowman, mentre discutono fra di loro, grazie ad una serie di raccordi a 180° guardano verso la cinepresa, ovvero verso lo spettatore; nel viaggio attraverso le stelle, che si conclude con un primissimo piano dell'occhio, Bowman ha lo sguardo rivolto verso di noi; nel finale anche il bambino astrale si gira e si rivolge verso la macchina da presa.
L'atto del guardare viene quindi inteso come atto conoscitivo, come unico mezzo possibile per andare oltre, per svelare qualcosa che, altrimenti, non sarebbe possibile scoprire.
2001: A Space Odyssey è, in sostanza, una grande metafora sull'atto della visione.
Guardare oltre
2001: A Space Odyssey è lo sguardo di un regista che ha voluto che il suo stesso pubblico iniziasse a guardare al cinema con occhi nuovi. Uno dei capolavori più grandi di tutti i tempi,raccontato attraverso l'occhiodi uno dei cineasti più importanti della settima arte.
Non solo la fantascienza ne risulterà profondamente influenzata.
Un'opera immensa, che coincide con l'apice stilistico e narrativo di Stanley Kubrick. Un viaggio che, attraverso la storia dell'umanità, si proietta verso il futuro (del cinema e dell'uomo), rendendoci consapevoli di possedere uno degli strumenti più potenti che la natura abbia mai realizzato: lo sguardo.
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