Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Inizialmente era il buio. Prima della vita, tutto era buio. Avvolti dai suoni ma privi di visuale, come nel più accogliente dei ventri materni. Poi ci fu l’alba, dell’uomo. Già dai quei primi sprazzi di esistenza fu la violenza a dettare legge. I primi esemplari di scimmia, i nostri antenati, la usavano per sopravvivere e anche per affermare la propria forza attestando che fin dalla sua origine primitiva l’uomo era violento. E questa violenza è stata elemento unico e immutabile capace di attraversare il tempo prima e lo spazio poi.
La materializzazione di un monolite scuro e oscuro, verso cui i primati mostrano adorazione, timore e prostrazione, non può non farci pensare alla religione e la reazione che accomuna gli antenati non passa inosservata. Quando poi quel monolite ritornerà nei momenti più importanti della pellicola, finale compreso, le nostre deduzioni saranno confermate.
Che Kubrick fosse un visionario lo avevamo già capito ma con questa sua pellicola, che chiamare tale finisce per essere riduttivo, ci conferma quanto il suo cinema sia legato al simbolismo e alla percezione della vita e del suo mistero. In poco più di due ore Kubrick prova ad affrontare questioni che premono alle esistenze più riflessive: la vita e la morte, il loro rapporto con la religione, da dove veniamo e piuttosto dove andiamo. Per farlo utilizza monoliti, scimmie, silenzi e intervalli di musica che espandono la mente attraverso le immagini di un universo popolato di navicelle spaziali, convinti di stare cavalcando il mondo, di aver compreso le scienze più profonde per poi scoprire che nonostante gli studi e la tecnologia restiamo incapaci di estrapolare i segreti esistenziali più profondi, restando nulla di fronte all’immenso.
Ed è proprio questa tecnologia avanzata che, ad un certo punto, prende il sopravvento sull’uomo. Lui, l’uomo, così convinto di poterla maneggiare ne finisce ingenua vittima e non possiamo fare a meno di pensare che dopotutto quel (non)genio di Kubrick aveva previsto tutto. Così la vita passa, l’uomo non se ne accorge e si trova vecchio, inerme e impotente di fronte alla fine.
Ma certo che 2001: Odissea nello spazio non può essere solo questo ma è molto di più. Con quelle sue immagini simmetriche, con la follia che trasuda da quell’unico occhio rosso che ha popolato i nostri incubi più ricorrenti, 2001: Odissea nello spazio è il capolavoro di Kubrick, il suo film più fotogenico e più emozionante, quello più empatico e forse, perché no, anche quello in cui la follia è più presente, nonostante Shining resti il mio film preferito sopra ogni altro.
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