Regia di H. C. Potter vedi scheda film
Paradossalmente, il punto debole del film è proprio Cary Grant, il quale è isrtuito a sufficienza nell'accentuare le note di colore, ma che difetta, per bilanciamento proporzionale, del giusto piglio da "macho", cuore duro, come poteva esserlo un Bogeey o un Clark Gable; ecco sì, in questo ruolo avrei visto di buon occhio al posto di Grant (che continua nonostante tutto a essere uno dei miei attori culto) "The King", per il suo granitismo, quel suo essere tutto d'un pezzo, incorruttibile, virtuoso, e uomo passionale, il che non avrebbe guastato visto che questa dote, gli avrebbe forse permesso di gestire al meglio gli accessi di sentimentalismo, mascherati più o meno diligentemente (tranne il finale portuale con paesaggio surrealisticamente immerso in una fitta coltre nebbiosa, stile "Querelle") nel corso di tutto la pellicola, ma che zampillano irruenti allorché, sulla ribalta, arriva l'occhio languido della Laraine Day, donna non male, ma a tratti vagamente spaesata e alla completa mercè del Grant, che ricorda, o meglio anticipa, alcune pose che caratterizzeranno, poi, la performance di Deborah Kerr in "Un amore splendido".
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