Regia di James Mangold vedi scheda film
Verso la fine degli anni ’60 una ragazza di buona famiglia, ma con genitori opprimenti, viene ricoverata in una clinica psichiatrica dopo aver tentato il suicidio e scopre che le nuove compagne sono migliori delle persone normali. Il film sconta una certa ambiguità ideologica, ossia un’oscillazione di giudizi fra il dentro e il fuori e in particolare una non chiara definizione del rapporto con la contestazione studentesca: a volte la clinica viene vista come un luogo di rifugio per anime in pena, a volte come un’occasione per affermare liberamente la propria personalità. A parte questo, sembra una macchina sottoutilizzata: mette in scena personaggi potenzialmente interessanti, ma poi si limita a inanellare una prevedibile serie di scene madri per la gioia delle attrici (la Ryder, non a caso, è anche produttrice). La colonna sonora d’epoca è accattivante (difficile parlar male di un film che ti piazza Bookends di Simon & Garfunkel subito dopo i titoli di testa), ma nelle due prove precedenti Mangold aveva dimostrato maggiore finezza.
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