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The Blair Witch Project

Regia di Daniel Myrick, Eduardo Sánchez vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Blair Witch Project

di giansnow89
10 stelle

Sconvolgente.

 In un panorama cinematografico all’interno del quale specialisti e dilettanti del cinema horror oramai sono tutti più o meno riunificati in un unitario accozzo informe disposto a inventarsi pressoché qualsiasi cosa pur di impressionare lo spettatore (riuscendovi quante volte?), spicca la volontà di sperimentare e di estraniarsi dai codici imperanti. Un quarto di secolo dopo “Non aprite quella porta”, è ancora un film indipendente a ridefinire ed allargare i confini di un genere altrimenti sempre più frusto ed affaticato. Eppure, è persino inesatto individuare una vocazione verso la sperimentazione nel film qui presente. Tutt’altro: qui si ritorna ai concetti fondanti della letteratura gotica, si risale a Edgar Allan Poe e ai suoi personaggi assediati da mani invisibili e corrosi nella propria psiche fino all'annichilimento. Non è tanto la cosa in sé che genera l’orrore, quanto il mutamento, il passaggio lento, graduale ed inarrestabile da uno stato di certezza a uno di incertezza, e la perdita dei punti di riferimento. Quindi, nel nostro film, un tronco posto a mo’ di ponticello sopra un torrente, si trasforma da giocondo simbolo dell’avventura in cagione di smarrimento e di terrore puro, dopo che i tre protagonisti continuano a ripassarvi senza potersi raccapezzare sulla via giusta da prendere per tornare a casa; i mucchietti di sassi, costituenti un antico cimitero indiano,  sono l’iniziale obiettivo e Graal della spedizione, ma in sequenze successive divengono segno tangibile della minaccia invisibile incombente sui ragazzi, ovvero, l’ignoto, che prima causava erotica fascinazione, diviene fonte di panico; la stessa cinepresa, che nella prima fase è pregna di euforica ambizione a fare un gran documentario, finisce per fungere da refugium peccatorum cui consegnare la propria disperazione. Ma soffermiamoci proprio sul ruolo della cinepresa e sulla tecnica del falso documentario, funzionale ad annullare la distanza, sempre esistita, tra il profilmico ed il filmico, tra l’illusione di realtà e la costruzione retrostante al dispositivo cinematografico. Gli apparenti autori del documentario, ovvero i ragazzi, sono parte integrante essi stessi della messa in scena. Non è una novità assoluta: se ne servì anche Ruggero Deodato in “Cannibal Holocaust”, ragion per cui pensò bene di accusare il film qui in oggetto di plagio. Inconsistente insinuazione, poiché la differenza finale fra i due prodotti è tutta lì da vedere, e Deodato fa ad ogni modo parte proprio della succitata categoria di artigiani disposti a tagliarsi una mano pur di ricavare in cambio il disgusto del pubblico (peraltro, se si vuole individuare proprio una primogenitura, quella appartiene all'esperienza del cineocchio di Vertov). In “The Blair Witch Project” non c’è nessuna immagine particolarmente cruenta, né manifestazioni tangibili del soprannaturale: il comparto finzionale/cinematografico viene totalmente annullato, cosa che non avviene in Deodato o in un altro film sussumibile alla categoria come “Rec” – da me stroncato in passato - dove la finzione si svela nel largo uso di inverosimiglianze cronenberghiane. Evocazione: i mucchietti di sassi che inspiegabilmente compaiono, le urla nella notte (di chi? non lo sappiamo né lo sapremo mai), la stessa ricerca ossessiva del cielo incorniciato dagli alberi nelle inquadrature della cinepresa, quasi a cercare una via d’uscita dalla prigione boschiva. L’evocazione è il segreto. Il terrore non viene mai espresso con chiarezza, immortalato, matematizzato, sistematizzato, ma è invece sempre richiamato con sfumature vieppiù notturne ed intense, fino al convulso e raccapricciante finale. L’ombra che avvince i tre ragazzi diventa tanto più vischiosa, in quanto non è possibile desumere chi la proietti, o se ci sia davvero qualcuno che la proietta. L’orrore supremo non è forma definita, per quanto terribile e tremenda, ma è incertezza della forma, un’incertezza accusata, subita e sofferta sia dai protagonisti sia dal pubblico. Il crinale tra un film dell’orrore ordinario e uno degno di menzione spesso si innesta intorno a questa necessaria divisione.

 

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