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The Blair Witch Project

Regia di Daniel Myrick, Eduardo Sánchez vedi scheda film

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La recensione su The Blair Witch Project

di maghella
7 stelle

C’è un prima e un dopo “The Blair Witch Project”.

Prima di “The Blair Witch Project”, il film horror seguiva il classico canovaccio della narrazione: il viaggio (solitamente i protagonisti sono giovani scanzonati, o la famiglia in vacanza), il raggiungimento della meta (solitamente un luogo sconosciuto, o una nuova casa da abitare, o un paese con abitanti maldisposti), manifestazione del maligno (mostro, o serie di mostri, anticristi, demoni o assassini seriali), infine soluzione definitiva con l’uccisione del maligno o la vittoria di quest’ultimo sui malcapitati. Tutto questo viene raccontato secondo un criterio classico, che è quello della narrazione di terzi. La macchina da presa diventa quindi un cantastorie per lo spettatore, che (a seconda del tipo di film) diventa alleata di quest’ultimo svelando cose che ai protagonisti è nascosto, o rimanendo narratrice distaccata del racconto.

Con “The Blair Witch Project” tutto cambia.

Siamo nel 1999, il mondo del web è ai suoi albori, ovvero la comunicazione social non è ancora ai suoi massimi livelli, c’è ancora una sorta di diffidenza nei confronti della velocità con la quale le notizie vengono trasmesse tramite internet. I telefonini sono ancora per lo più telefoni e per comunicare via web è necessaria una strumentalizzazione professionale o quasi.

Il film in questione utilizza un linguaggio che allora era ancora sconosciuto e che dopo pochi anni sarebbe diventato quello più usato: il linguaggio social.

Con la tecnica del Mockumentary (che infetterà il genere horror per gli anni seguenti), The Blair Witch Project mette su una storia tanto semplice quanto geniale.

Il film comincia infatti con la didascalia, che le riprese che vedremo nel film sono state ritrovate nella foresta di Blair e appartengono ai 3 ragazzi protagonisti degli ultimi 3 giorni prima della loro scomparsa.

Le regole del Mockumentary sono semplici: ogni inquadratura deve essere fatta come se fosse ripresa direttamente da chi racconta, in continua soggettiva. Questa tecnica porta ad una partecipazione empatica dello spettatore che vive così le vicende in modo realistico, senza alcun filtro, con il protagonista.

Heater, Josh e Mike sono i 3 ragazzi in questione, che decidono di fare un documentario sulla leggenda della strega del bosco di Blair. La strega di Blair, vissuta nel 1700 nei pressi della cittadina di Burkittsville, fu l’artefice di alcuni omicidi ai danni di bambini, motivo per il quale fu quasi linciata e per questo costretta a vivere nascosta nel bosco.

All’inizio del secolo ‘900, ispirandosi alle gesta della strega, un altro omicida seriale uccise 7 bambini nella casa nel bosco. I 3 ragazzi vogliono addentrarsi nella foresta, per documentare i luoghi delle sparizioni, ed arrivare a delle conclusioni a riguardo.

Dopo il primo giorno in cui raccolgono alcune interviste degli abitanti della città, i 3 ragazzi iniziano il loro percorso nel bosco, calcolando di essere di ritorno nel giro di un paio di giorni, con le immagini necessarie per concludere il loro documentario. Il cammino nella foresta non si dimostra semplice quanto pensavano inizialmente, Heather non riesce ad orientarsi con la cartina, e perdono ben presto il senso dell’orientamento. Durante la prima notte, poi, si odono strani rumori e voci distanti, che iniziano a preoccupare i 3 ragazzi. Impauriti e scoraggiati, i 3 amici vorrebbero tornare indietro ma non riescono più a ritrovare il sentiero, iniziano così a girare a vuoto, dopo ore di cammino si ritrovano al punto di partenza. La paura diventa presto panico, i ragazzi cominciano ad incolparsi l’un con l’altro per la situazione in cui si trovano, Heater impugna sempre la macchina da presa riprendendo ogni attimo del loro cammino. La seconda notte è ancora più paurosa della prima, si odono voci e pianti di bambini, e al risveglio, fuori dalla tenda, ci sono strani amuleti simili a quelli che avevano ripreso nel cimitero indiano che avevano attraversato il giorno prima. Senza più scorte di cibo, senza alcun senso dell’orientamento, impauriti per le 2 notti trascorse, i 3 ragazzi sono allo stremo, la terza notte si avvicina e loro sono consapevoli che questa volta sarà ancora più tremenda delle precedenti.

Josh sparisce, Heater e Mike lo aspettano, lo cercano, lo chiamano e quando infine decidono di proseguire il loro inutile cammino verso un ritorno impossibile, sanno che stanno avvicinandosi verso una terribile verità.

Durante la quarta notte, i 2 ragazzi sentono le urla disperate di Josh, urla che portano verso la casa in cui sono stati presumibilmente uccisi i bambini.

Gli ultimi minuti del film sono deliranti, conducendo i protagonisti e quindi lo spettatore verso la conclusione del documentario, ma non della storia sulla strega di Blair.

Oggi si parlerebbe di “diretta”, e Heather sarebbe una influencer, ma nel 1999 questi termini erano ancora distanti dai significati che gli sono stati attribuiti negli ultimi anni. All’epoca dell’uscita del film si parlava di realismo, di verità. Il film metteva in luce un nuovo metodo comunicativo, prettamente giovanile e col senno del poi evidenziava l’ossessione di Heather verso una condivisione del proprio vissuto con lo spettatore. La comunicazione diventa (con The Blair Witch Project) più importante di ciò che viene comunicato. Non è importante se la storia è vera o meno, se quello che ci viene mostrato è di spessore o no, se gli attori sono bravi, quello che è importante è la connessione che si viene a creare con la storia e lo spettatore. 

Ricordo che quando uscì il film, il pubblico si divise tra chi lo osannava e chi lo disprezzava, ma tutti erano d’accordo sull’effetto empatico che riusciva a creare. La macchina da presa, il vero filtro tra lo schermo e lo spettatore, viene eliminato, e le inquadrature traballanti, i primi piani selfi che Heather si fa per documentare il suo testamento sono diventati storia per la cinematografia horror degli ultimi vent’anni. Dopo The Blair Witch Project ci sono stati decine di film mockumentary, alcuni belli altri molti brutti, ma nessuno ha più raggiunto la forza della strega di Blair.

 

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