Regia di Ulrike Kofler vedi scheda film
Non sempre la volontà collima con la possibilità. Ormai siamo (stati) abituati a soddisfare la stragrande porzione delle nostre esigenze, cosicché quando un traguardo ci viene beffardamente negato, nascono dei tormenti a cui non riusciamo in alcun modo a porre rimedio.
Nell’ambito medico-scientifico, ad esempio, l’evoluzione ha risolto parecchie problematiche che hanno danneggiato irreparabilmente per secoli il tenore di vita delle popolazioni, ma, contestualmente, sono sorte ulteriori sfide da affrontare.
Segnatamente, il film austriaco La vita che volevamo piomba nell’epicentro delle tante coppie che faticano a procreare, con un mancato culmine dell’idea di famiglia che rischia di macerare l’anima provocando un irreversibile effetto domino.
Dopo quattro tentativi andati a vuoto, seguendo il consiglio della loro dottoressa, Alice (Lavinia Wilson) e Niklas (Elyas M’Barek), una coppia viennese, mettono per un attimo in disparte il desiderio di diventare genitori e cercano un po’ di spensieratezza con una vacanza in Sardegna.
Il luogo è paradisiaco ma i loro vicini hanno due figli e già questo porta Alice a non sentirsi serena. Di lì a breve, tra Alice e Niklas emergeranno contrasti sempre più accentuati e ardui da sanare.
Mentre il loro rapporto finisce per essere messo in seria discussione, verranno prepotentemente scossi da un avvenimento esterno.
La vita che volevamo è una pellicola drammatica che produce molteplici sforzi per conquistare una propria collocazione all’interno del panorama autoriale, tuttavia senza riuscirvi appieno.
Il tema che affronta, ossia il desiderio di maternità, è particolarmente delicato, tanto da poter creare attriti perfino nelle coppie più salde, annullando rapidamente anche gli effetti benefici di uno stacco dalle consuetudini, come una vacanza da favola. D’altronde, in casi del genere, le controindicazioni sono evidenti e plurime, giacché il paesaggio umano circostante continua a lanciare messaggi, rimodulando la crisi in atto.
Per quanto l’impatto psicologico allestito sia evidente e inevitabilmente crei una forma di dolente immedesimazione nello spettatore, il film diretto da Ulrike Kofler rimane penalizzato da un’intelaiatura scolastica, con immagini patinate e tutte le pedine posizionate - oltre che direzionate - sulla scacchiera proprio dove te le aspetteresti.
Similmente, è disciplinato ma anche prigioniero di calcoli (come nel suo odore di tragedia in arrivo), con il desiderio non corrisposto che non esce quasi mai dal (suo) seminato e quando ciò avviene, vedi l’ultima parte, non lievita, non conquista quell’upgrade indispensabile per non finire risucchiati nel mare magnum dei film che ci provano, anche plasmando una pronunciata determinazione, senza realizzare un compimento esaustivo.
Dunque, La vita che volevamo concepisce una fisionomia inequivocabile, con progetti di vita e conquiste considerate indispensabili, una cospicua gamma d’incomprensioni, distinte lacerazioni interiori, inadeguatezze e allontanamenti, pugnalate simboliche e scenate ombelicali, un’architettura a stadi che, per colpa di uno svolgimento sostanzialmente prevedibile e di un attracco pigro, finisce per sottodimensionarsi.
Manierato.
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