Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Un grande inizio, quello di “The Million Dollar Hotel”: lo skyline di downtown Los Angeles, una canzone, la macchina da presa che arriva sull’insegna in cima all’hotel, le gira intorno, scopre un ragazzo con i capelli ispidi che guarda giù, poi prende la rincorsa, percorre tutta la terrazza, fa un saluto gioioso con la mano e si butta giù a volo d’angelo. Non c’è dubbio: Wenders sa creare immagini bellissime, sa evocare il cielo della metropoli, sa far volare la macchina da presa in sintonia con la musica. “The Million Dollar Hotel” sarebbe un capolavoro. Se fosse muto, se, al momento in cui il ragazzo vola, non scattasse, implacabile, la sua voce off che racconta e che si mescolerà per due ore con le voci degli altri personaggi. Un dialogo incessante, colmo di verità e di senso della vita, di spiegazioni sul mondo, chi siamo, dove andiamo. Come se le immagini non bastassero più a sviscerare l’irrealtà del reale. Come se il cinema fosse sopraffatto dalla “filosofia” della sceneggiatura.
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