Regia di Michael Showalter vedi scheda film
La dichiarata volontà di guardare tutto con Gli occhi di Tammy Faye diviene la palla al piede o più probabilmente l'alibi di un film che non ha alcun interesse a prendere posizioni scomode, ma che di quel personaggio fa propri l'infantilismo e l'ingenuità, rendendoli però posticci e virandoli in ignavia.
Nel 1952, una ragazzina di nome Tammy Faye sbircia dall'esterno di una chiesa le gesta di un predicatore che arringa la propria folla; tornata a casa chiede alla madre di poter entrare lì anche lei, di fatto già sapendo che non le è permesso: perché la madre è divorziata e lei è l'avanzo del primo matrimonio, e già la sua presenza lì dentro è appena tollerata, grazie esclusivamente al suo ruolo di pianista. Nella scena successiva, la ragazzina si introduce ugualmente, di soppiatto, riceve l'eucarestia, e in preda a un'emozione indicibile inizia a blaterare cose incomprensibili, si getta a terra e se la fa addosso.
Stacco. È il 1960, e Tammy diciottenne si imbatte nel giovane predicatore Jim Bakker con il quale, tra una citazione biblica e l'altra, finisce in men che non si dica a condividere un letto con intenti peccaminosi. Di lì a poco, è alla porta della madre a presentarglielo come il proprio sposo, facendole anche presente quale sia lo scopo che intendono dare al loro sodalizio, ovvero fare i predicatori itineranti - con lui addetto alle preghiere e lei al canto - utilizzando come strumento di lavoro dei pupazzi, che serviranno in prima battuta ad attrarre i bambini, e di conseguenza ad accalappiarne i relativi genitori.
Fatto salvo il vero incipit - una carrellata di notiziari d'epoca e poi un tuffo in avanti alla Tammy ultracinquantenne del 1994, The eyes of Tammy Faye si svolge in maniera lineare, partendo dalla rapida ascesa che vede la coppia prima esordire in tv ospitata da altri e poi creare un canale proprio, di fatto costruendo un impero che per gli anni a venire sarà foraggiato dalle offerte dei fedeli (o, per dirla con loro, degli 'associati'), proseguendo con l'emergere dello scandalo finanziario e la successiva caduta in disgrazia, per poi concludersi tornando al 1994.
Oltre quarantanni di storia statunitense, quindi, sono attraversati in due ore di film senza che nulla venga minimamente approfondito, né i personaggi secondari, con lo stesso Jim Bakker ridotto ad una macchietta, mal servito da un Andrew Garfield costretto ad un'interpretazione fastidiosamente sopra le righe, né tantomeno il contesto socio-culturale, con la misoginia e l'intolleranza verso gli omosessuali ridotti a mero espediente narrativo, e con il ruolo politicamente attivo degli imbonitori religiosi, legati a doppio filo alla destra reaganiana, suggerito in un paio di scene isolate e senza mordente: la dichiarata volontà di guardare tutto con Gli occhi di Tammy Faye diviene la palla al piede o più probabilmente l'alibi di un film che non ha alcun interesse a prendere posizioni scomode, ma che di quel personaggio fa propri l'infantilismo e l'ingenuità, rendendoli però posticci e virandoli in ignavia.
Fortemente voluto da Jessica Chastain, produttrice e (sempre ottima) attrice principale, il film di Michael Showalter prende spunto da un documentario omonimo (di Fenton Bailey e Randy Barbato) che, nel 2000, basandosi sul racconto della stessa Tammy Faye si prese la briga di riscrivere la storia della parabola della coppia, riabilitandone l'immagine alla luce delle responsabilità di Jerry Falwell, un predicatore rivale (un inquietante Vincent D'Onofrio). A rimanere e dominare sovrana dopo questo polpettone, è la superficialità incosciente di una donna ai cui comportamenti da sempliciotta sono dovuti una manciata i sorrisi e una istintiva simpatia - talvolta compassione - da pacca sulla spalla: ma lì ci si ferma. E francamente non può bastare.
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