Regia di Jay Karas vedi scheda film
In quasi ottanta minuti di monologo lo stand up comedian Bill Burr polemizza sul fatshaming, su Hitler e Stalin, sul dibattito Clinton-Trump (in atto in quel momento), sulla sovrappopolazione del pianeta e racconta una storiella morale su un gorilla che ha imparato a usare il linguaggio dei segni.
Tra gli ormai numerosi suoi spettacoli, questo è probabilmente quello in cui Bill Burr – stand up comedian americano – tira maggioramente la corda nel segno di un ‘politicamente scorretto’ forzato, a oltranza, che deve programmaticamente disturbare. Non che non si rida, certo, ma in Walk your way out, quasi ottanta minuti di monologo senza un secondo di pausa, Burr pare voler difendere l’indifendibile (il suo forte, senza dubbio) senza argomentazioni particolarmente convincenti, sembra voler stupire senza avere più di tanti effetti speciali. Certo, a conti fatti il comico non dice nulla di inequivocabilmente razzista o sessista, al massimo utilizza argomenti frivoli o sorpassati, come nella lunga parte in cui mette a confronto Hitler e Stalin sostenendo che il secondo ha ucciso molte più persone, ma non aveva il fascino maligno del primo, capace realmente di incarnare il Male solo con uno sguardo o una frase. Fortunatamente nel monologo ci sono anche parti più avvincenti e, è chiaro, una salva di battute più leggere che contribuiscono a smorzarne i toni; senza dubbio più intrigante è l’esordio con la drastica critica a entrambi i candidati alle contemporanee elezioni Usa, Hillary Clinton e Donald Trump: ovviamente invecchiata in fretta, questa parte è la più sarcastica, più apertamente comica dello spettacolo, insieme al racconto finale del gorilla che ha imparato a usare il linguaggio dei segni. 5,5/10.
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