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Human Traffic

Regia di Justin Kerrigan vedi scheda film

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La recensione su Human Traffic

di Stefano L
7 stelle

Human Traffic (1999) - IMDb

 

Coming of age del (breve) filone gallese “Cool Cymru”, “Human Traffic”, dell’ancora in erba Justin Kerrigan, focalizza il momento culminante della Generazione X di fine millennio, raffigurando esplicitamente e senza fariseismi i demoni e le preoccupazioni di un gruppo di ventenni in attesa del weekend a Cardiff. Jip (John Simm), il protagonista, è un paranoico e stressato commesso, la cui esistenza viene afflitta dall’incapacità di avere un rapporto intimo con una ragazza (e dalla madre dal passato burrascoso); Lulu (Lorraine Pilkington) trascorre una vita noiosa da universitaria; Moff (Danny Dyer) va in continuo conflitto con la sua famiglia, in quanto non riesce a trovare un impiego; “Koop” (Shaun Parkes, un dj hip hop e jungle) ha il padre mentalmente delirante e un legame morboso con Nina (Nicola Reynolds). Impotenza, ossessioni, disoccupazione, diffidenza, pigrizia. E, naturalmente, l’aspetto più preoccupante dei giovani di inizio secolo: l’alienazione. L’inettitudine nello stabilire dei legami duraturi col prossimo, se non risibili, ipocriti (e con l’avvento dei social da lì a qualche anno le cose andranno a peggiorare). L’uso di stupefacenti dilata il tempo, permette l’ingresso in una dimensione surreale in cui si alternano euforia e psicosi. Interludi di pochi secondi che metaforizzano gli effetti delle sostanze somministrate. A dire la verità alla lunga frammenti ridondanti non troppo originali. Kerrigan è stato accusato per aver esaltato l’abuso delle droghe. Non esattamente... espone semplicemente uno spaccato che fa a meno di filtri e prediche ricattatorie. Apprezzabile, peccato abbia dimenticato di dare a questo sfondo uno spessore sufficiente da renderlo tagliente al punto giusto. E magari erigere un solido schema del racconto (gli eventi si susseguono in modo sdrucito, scoordinato). Non fraintendete, “Human Traffic” scorre dopotutto abbastanza bene e si avvale di una satira azzeccata sulla club culture (divertenti i segmenti nel negozio di dischi con i tipi che provano a ballare il freestyle sulla base del nuovo pezzo proposto da Koop e all’entrata del locale dove Jip si improvvisa giornalista). Le interpretazioni migliori sono quelle di Simm e della bella ricciolina irlandese Pilnkington, al netto di certe ampollosità in esacerbazione dello script (riguardano prevalentemente Dyer, anche se c’è da ammettere che la sua voce profonda e plateale armonizza persuasivamente l’esasperazione del bizzarro Moff). Indovinata la fotografia satura, ma temprata, di Dave Bennett. Fra i camei il producer Carl Cox e l'autore di antologie ed ex trafficante Dennis Marks.

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