Regia di Ricky Tognazzi vedi scheda film
Film complesso e di non immediatissima comprensione. Il problema non sta tanto nel capire il cosa, bensì il come. Articolato in artificial modo su tre livelli – presente, passato prossimo, passato remoto (e addirittura un sottolivello nel finale, magari futuro futuribile) – e organizzato in un soffuso quanto grezzo miscuglio di Storia e risvolto semi-onirico, Canone Inverso è un film asceta che sarebbe meglio ascoltare che vedere. Dopotutto, la musica di un Ennio Morricone in gran forma non è solo colonna sonora extradiegetica ma addirittura colonna portante del film stesso: non è solo complice ma partecipante. Essendo anche, e forse soprattutto, un’opera sul potere elegiaco e contemplativo della musica, è giusto che sia così. Non dovrebbe esserne comunque felice Ricky Tognazzi che con il Canone Inverso rischia molto, distogliendosi da un campo che gli era appropriato (il filone, diciamo così, socio-civile alla Ultrà o La scorta) e gettandosi a peso morto (con l’aiuto dei fedeli Simona Izzo e Graziano Diana) in territori di certo più “spirituali”. I problemi letali del film risiedono in sedi ben precise: la banalità dei dialoghi, l’insipidezza della messinscena, l’immota stasi dei personaggi. Peccato, perché due o tre passaggi sulla carta sarebbero potuti essere splendidi (su tutti l’incontro tra Costanza e lo zio anziano), e una sequenza è davvero bella (i due violini che si rincorrono e vengono rincorsi dal direttore della scuola). Ma la natura del film è sbagliata, e qualche rondine, qua e là non fa primavera. Nonostante Morricone.
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