Regia di Simon Stone vedi scheda film
Notizie di Scafi dagli Scavi.
È nato un autore? Di certo un regista. Sì, era già nato, Simon Stone, nel 1985, in Australia, dove inizò la carriera di metteur en scène teatrale ed esordì in ambito cinematografico con «the Daughter» (da lui scritto adattando «l’Anitra Selvatica» di Henrik Ibsen), per poi muovere passo verso l’Europa, ripetendo la sequenza teatro → cinema, anche come attore, ma è con - ed eccoci dunque giunti a - «the Dig» (lo Scavo, inquesto caso di uno Scafo) che l’occhio, la mano e l’orecchio si percepiscono: organizzazione del quadro in movimento, montaggio e sonoro dimostrano (molto spesso i dialoghi delle scene a venire vengono inseriti con largo anticipo sulle scene presenti ancora in corso: un dispositivo antico, ma ben sfruttato: pure se al limite del "vezzo", ha un senso specifico di stile/forma e contenuto/sostanza, e collateralmente serve altresì per guadagnare minutaggio sul totale del cospicuo - ma fluido e scorrevole a prescindere - metraggio, anche se poi il regista è abile a "tagliare corto", iniziando il film in medias res, dopo la traversata in bici/barca, sulla soglia della magione: "Andiamo?", e lo spettatore è subito catturato dal fluire del racconto) una sicurezza - di sigifica(n)ti - alla James Gray o alla P.T. Anderson (oramai l’ho scritto: il tempo ne trarrà le conseguenze, portate delle felci sulle mie ossa) e abitato da una non superflua dose (ma, a questo punto della sua storia, è necessario precisare che non è dato sapere quanto superficiale o profonda, ovvero s’è da intendersi come, da una parte, derivazione automatica ed omaggio, o, dall’altra, dialogo ed elaborazione) di suggestioni e liricità malickiane: assieme a David Lowery (1980: "Ain't Them Bodies Saints", "A Ghost Story", "the Old Man & the Gun", "the Green Knight") e Brady Corbet (1988: "the ChildHood of a Leader" e "Vox Lux") è una delle voci e degli sguardi e delle penne anglofone indie-mainstream più interessanti (forse solo un po' più "calligrafica", quindi un po' meno incisiva).
La sceneggiatura che Moira Buffini ("Tamara Drew" di Stephen Frears, "Jane Eyre" di Cary Joji Fukunaga, "Byzantium" di Neil Jordan e "Harlots", creata con Alison Newman) ha tratto dall’omonimo romanzo di John Preston del 2007, che a sua volta traslava le reali vicende che portarono alla scoperta del sito archeologico (nave funeraria e altre sepolture) di Sutton Hoo, è, nel senso buono, da manuale.
Bravissima, come sempre, Carey Mulligan (il soggetto, lo script e il film traducono in "intuizione", forse tradendo la Storia, quel che alcune biografie del ritrovamento indicano per Edith Pretty come "spiritismo e rabdomanzia") e le tiene testa, poderoso, Ralph Fiennes (la figura autodidatta di Basil Brown è per certi aspetti accomunabile a quella di Mary Anning, portata anch'essa recentemente sullo schermo in «Ammonite» da Francis Lee con, tutto sommato, molte più "libertà").
Chiudono il cast le ottime prove di Lily James, Ben Chaplin, Johnny Flynn (loro è la sottotrama, gender-sentimentale, più goffa e delicata dal PdV del realismo storico generale) e Ken Stott ("the Hobbit Trilogy", "Café Society").
Splendida è la caratterizzione della moglie di Brown, Dorothy May Oldfield, interpretata da Monica Dolan.
Notevole performance del cast tecnico: fotografia di Mike Eley, montaggio di Jon Harris e musiche di Stefan Gregory.
Ottimo l’utilizzo dei pochi e necessari effetti speciali ad opera di Union. Co-produtto e distribuito da Netflix.
Ancora al proprio posto, nella loro posizione originale rispetto al tutto, dopo tredici secoli (nel frattempo - Ottobre 1939 - accadono altre cose: il primo ministro britannico Neville Chamberlain annuncia dalle frequenze radio della BBC che il termine dell'ultimatum finale britannico per il ritiro delle truppe tedesche dalla Polonia è scaduto e che "di conseguenza questa nazione è in guerra con la Germania"; seguiranno poi BlitzKrieg, Churchill e Dunkerque/Dynamo...), gli arrugginiti rivetti in ferro di congiunzione delle assi in legno ormai scomparse, mangiate dal tempo (acqua, funghi, animali) che le ha sostituite con una sabbia dal colore diverso, più chiaro, come fosse lo scheletro di preistorico gigante marino, disegnano, disposti a punti cardine, l’impronta fantasmatica della nave che fu.
Un’ora e tre quarti d’ininterrotto (solo qualche semplificazione retorica nell’ultimo quarto d’ora) piacere della narrazione.
Riassumendo, le premesse, insomma, sono buone: il tempo dirà se si tratta solo di superficie o se scavando più a fondo, verso il futuro…
* * * ¾ - 7½
Postilla.
Le guerre passano, le fosse restano.
Strato successivo: 75 anni dopo… «Detectorists».
Oltre le dolci colline, di là dagli alberi (che ai tempi della sepoltura non c’erano già più e ciò permetteva di far spaziare lo sguardo sino alla costa), il mare.
Non vichinga, ma anglosassone!
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta