Regia di Nicolas Roeg vedi scheda film
La diva più famosa, lo scienziato universalmente più ammirato, il marito star dello sport più geloso, il politico più mellifluo e corrotto. Roeg affronta un terreno apparentemente impossibile e colmo di insidie, ma ne esce vincitore, regalandoci una strepitosa opera da camera che suggella l'incontro che avremmo davvero voluto potesse accadere.
Mentre una diva notissima ed acclamata del cinema è impegnata nelle riprese della scena clou del suo ultimo annunciato trionfo cinematografico, in una camera del medesimo hotel che la accoglie, lo scienziato più famoso del mondo sta per essere raggirato da un mellifluo senatore dal viso porcino e dall’atteggiamento falsamente accomodante, che segue il filone oscurantista del repubblicano McCarthy e vuole che il brillante professore gli riveli altri nomi del complotto che essi cercano di sventare ai danni della minaccia comunista.
Si tratta in fondo di due persone sole: lui tutto preso con le sue teorie, magari già ampiamente confutate e dimostrate, ma necessitanti di ulteriori approfondimenti; lei vittima della gelosia di un marito campione del mondo di uno sport tra i più amati e seguiti negli Usa.
Lui tutto arruffato con la sua testa di capelli grigi ed incolti, lei vestita di un sexy abito di raso bianco con gomma molto aperta e soggetta a risultare molto sensibile agli sbalzi di corrente.
I riferimento ad Einstein, Marilyn e Joe Di Maggio sono sin troppo evidenti, plateali, ma entusiasmanti ed il film, geniale e machiavellico nella sua folle e compulsiva smania di intersecare mondi e personaggi che più lontani non si potrebbero, risulta davvero bizzarro ma accattivante.
Il duetto tra l’attrice (una splendida Theresa Russell) e lo scienziato nell’atto di dimostrare praticamente la teoria della relatività, verso la quale la diva solo apparentemente oca, riesce a dimostrarsi un perfetto, puntuale ed efficiente strumento di verifica, è davvero riuscito ed accattivante, e Roeg, che offre a Tony Curtis probabilmente il suo ruolo migliore di chiusura di una onorabile se non gloriosa carriera, infarcisce il film dei consueti simbolismi e trucchetti magici ed onirici di gran effetto visivo e dal gran potere seduttivo.
Insignificance, titolo onesto e coerente che meriterebbe di essere mantenuto in originale in luogo del banale e traballante accomodamento italiano, fuorviante ed inutile, è uno dei punti più alti della nutrita filmografia di Roeg negli anni ’80.
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