Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
Sostanzialmente riuscita questa revisione del mito custer-iano da parte di un Ferreri particolamente ispirato sul piano figurativo, capace di regalarci momenti di caustica poesia, aiutato da un cast che raccoglie il meglio della cinematografia italo-francese dell'epoca. Il merito maggiore di Ferreri è quello di aver inventato un suggestivo scenario post-moderno dove ambientare questa brechtiana parabola sull'oppressione e l'imperialismo: una metropoli già globalizzata (brand americani diffusi, contrapposti a pellerossa che paiono rom ubicati nei campi nomadi), incessanti lavori in corso a deturpare il paesaggio urbano, il dominio degli oggetti e delle merci (geniali i pantaloni di JFK indossati dall'indiano pelato, quasi un'anticipazione delle magliette di Che Guevara), il sincretismo fra passato e presente, America ed Europa. Alcuni personaggi non funzionano del tutto: l'antropologo Paolo Villaggio resta un po' irrisolto e forse rappresenta l'irresponsabilità della "cultura", mentre la "donna bianca" Deneuve risulta alquanto inerte. Nel complesso, il registro grottesco tiene e la crudeltà dell'autore non esclude la pietas verso gli oppressi. Il pre-finale parodizza quello del Mucchio Selvaggio, mentre la beffa conclusiva (che sancisce il trionfo del capitalismo finanziario) è un puro colpo di genio. Tra le opere esplicitamente "politiche" di Ferreri, questa è una delle più divertenti; inoltre, la trovo più stimolante dell'Udienza, dove gli schematismi e la retorica insita nel personaggio di Jannacci rendevano in alcuni momenti piuttosto sterile il discorso anti-istituzionale.
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