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Non toccare la donna bianca

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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La recensione su Non toccare la donna bianca

di (spopola) 1726792
7 stelle

... Lo diceva già Clémenceau! La guerra è una cosa troppo seria per essere lasciata in mano ai militari! 

 

 

 

Era il 1973 quando Marco Ferreri  (aiutato nella stesura della sceneggiatura da Rafael Azcona) prese in mano la macchina da presa  per girare (a modo suo ovviamente) il suo primo e unico western (si fa per dire) scegliendo di metterlo  in scena nella città di Parigi, e più precisamente dentro il profondo e vasto cratere che si era venuto  a creare nel ventre della metropoli a causa della demolizione già in fase molto avanzata, del quartiere di Les Halles dove prima c'erano i famosissimi Mercati Generali. Quasi una dissacrazione insomma questa fantasiosa intuizione che fece storcere il naso a molti "puristi" appassionati cultori del mito della frontiera che accusarono il regista del peccato tutt'altro che veniale di lesa maestà. 

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Diciamo subito che questo titolo non rientra fra le cose migliori realizzate dal regista che è comunque un’opera  solo un poco discontinua nel suo incedere. Si alternano infatti piccolissimi momenti di stallo che a volte rischiano di rasentare la noia, ad altri invece (e sono la maggioranza) che sono di straordinaria rilevanza nei quali prevale tutta la genialità istrionica del regista  e questo a partire al soggetto ( il generale Custer spesso considerato un eroe dal cinema americano pre-rivalutazione degli indiani e qui riletto invece in maniera decisamente critica).

 

La matrice politica per esempio c'è ancora tutta ed è potente e di forte presa evocativa pure qui. Ed è proprio questo che sorregge magistralmente tutta la pellicola rendendo accettabili anche quei pochi momenti più corrivi e tediosi a cui accennavo prima. Rimane invariato infatti lo spirito iconoclasta, corrosivo e provocatorio di Ferreri che sono le caratteristiche più evidenti e continuative che si ritrovano in tutte le opere del regista, ampiamente confermate dalle sue stesse parole che scrisse come prefazione della sceneggiatura pubblicata da Einaudi nella collana "Nuovi coralli" nel 1975:

Perché Custer  alle Halles, a Parigi nel 1973?

Dal punto di vista dello spettacolo, le Halles di Parigi, rappresentano un ambiente ideale per raccontare questa storia, la storia di un genocidio. Uno scenario fine secolo in via di distruzione. Un enorme buco al centro di tale scenario. Fa pensare a un'arena dove si uccidevano gli schiavi e intorno c'era un impero che si distruggeva e ricostruiva. Uno scenario mobile per una storia eterna.

Le case, gli edifici vengono abbattuti e sostituiti da grattacieli. Il paesaggio cambia, ma la lotta degli oppressori contro gli oppressi, rimane la stessa; è immutabile.

Ma perché fare una domanda del genere? Perché Custer a le Halles? Perchè un'immagine può stimolare un’idea, come è accaduto in questo caso. Semplificando, cerco di dare (e far comprendere) il perché di una scelta così radicale. L''immagine di questo buco in mezzo alla città, mi ricorda infatti l'immagine dei circhi con i gladiatori, i deserti del Dakota, le piazze dove i poliziotti lanciano le bombe lacrimogene.

Perchè un western mi chiederete allora? perchè secondo me noi viviamo in un clima da western e perchè il western è sempre stato l'enorme trappola in cui siamo caduti fin da bambini.

Il western esprime in maniera semplice ed elementare i concetti Dio, Patria, Famiglia che sono spesso una fregatura e io riprendo quindi proprio questi ridicoli concetti  (buoni per tutte le stagioni ) per farli annegare  dentro un mare di risate  tanto sono incongruenti e privi di effettivo signifjcato.

La Grand Bouffe era un film fisiologico. Questo invece è un film di sentimenti e di idee. Doveva quindi essere "necessariamente" comico e irriverente. Oggigiorno questo è l’unico modo con cui si può parlare di sentimenti e di idee che esprimono concetti così superati..

Le Halles dunque sono il "Western" (o per meglio dire ancora, sono uno scenario da western). La vecchia frontiera cos'era se non  quello che racconto adesso? Anche al tempo di Custer, un secolo fa, si demolivano già vecchi edifici come il Pavillon dui Baltad.

Non sembra anche a voi che non ci sia necessità di andare in Dakota per fare un western? Si trovano anche nelle città elementi e situazioni che appartengo nodi diritto al genere western... e ci si incontrano anche lì molto spesso i soldati del Settimo Cavalleria pronti all'assalto.

Quando io penso ai Pellirosse, penso al proletariato e al sottoproletariato che si lascia schiacciare e umiliare e non ci trovo molte differenze.

L'opera di distruzione contro i Pellirosse è stato un etnicidio, la distruzione di un popolo e di una nazione e questo film, esattamente come nella storia, parte da qui, solo che coloro che si credono forti invece di parlare di genocidio, parlano "di diritto alla conquista". E diventa veramente comico quando i conquistatori sono a loro volta schiacciati, perchè i conquistati hanno imparato a parlare di diritto alla resistenza  e alla vittoria. E' quello che è accaduto nella cruenta battaglia di Little Big Horn (dove per inciso ci rime la pelle anche Custer) e che potrà accadere di nuovo (almeno lo spero), domani o dopodomani dappertutto.

E' BELLA LA VITTORIA - LA NOSTRA. (Marco Ferreri)

 

Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro se non che quell’utopia purtroppo non si è avverata e siamo ancora al punto di partenza (anzi qualche passo indietro,

 

No non doveva finire così (meditate gente, meditate!!!!!!)

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