Regia di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi vedi scheda film
In occasione della scomparsa pochi giorni fa del grande Gualtiero Jacopetti (1919 - 2011) e vergognosamente -com'era da aspettarsi visto il personaggio- pressoché ignorata da tutti i principali giornali d'informazione, voglio qui omaggiare il suo modo unico di aver inteso e praticato il cinema documentaristico nella declinazione tutta italiana dei “Mondo movies” proprio da lui creata con l'enorme successo internazionale delle pellicole che riuscì a realizzare, recensendo anche qui “Addio Zio Tom”, che è finalmente e davvero uno dei film meno concilianti e più incredibili mai realizzati. Il film migliore di Gualtiero Jacopetti e dell'inseparabile Franco Prosperi, il grande duo che ci ha dato “Mondo cane”, i quali riuscirono qui a compiere un film che definire controverso e potente è un eufemismo.
Distribuito dalla solita benemerita Blue Underground in un cofanetto dvd R1 intitolato “The Mondo Cane Collection” a partire dal 2003, e contenente tutti i film del succitato duo, questo grande film pseudo-documentaristico è stato così possibile scoprirlo nella versione internazionale intitolata “Goodbye Uncle Tom”, che così tanto isterismo censorio incontrò nel mondo e che portò al sequestro della pellicola e al rimontaggio (con interventi di Jacopetti medesimo) del film, poi rieditato con il titolo di, semplicemente, “Zio Tom”. Qui, grazie alla Blue Underground di William Lustig, abbiamo potuto riscoprire, dopo oltre trent'anni dalla prima difficile circolazione cinematografica italiana 1971, la “Director's Cut” di ca. 140'. E abbiamo ri-scoperto un vero capolavoro del cinema più spiazzante e provocatoriamente scioccante, ben oltre e più in alto di qualsiasi concezione di “politicamente corretto/scorretto”, come si dice oggi con questo fetido termine, nel 1971 fortunatamente ancora ben lontano dall'apparire.
“Goodbye Uncle Tom” è come detto uno pseudo-documentario che si è occupato -e per inciso, anche coraggiosissimamente, non solo per il 1971- degli aspetti più macabri e scioccanti della schiavitù in America, molto prima che venisse trattato quasi, molto “quasi”, nelle stesse declinazioni come detto scioccanti e d'”exploitation” dal celebre serial tv “Radici” (Roots)('78) di Richard T. Heffron. Questo film è, per inciso, splendidamente realizzato sotto ogni aspetto tecnico e si avvale di una delle colonne sonore più belle e riuscite di Riz Ortolani, collaboratore inseparabile di Jacopetti per le musiche -che con il tema “More” di “Mondo Cane” ('62) era arrivato al Golden Globe e all'Oscar per la Migliore Canzone Originale- e lo stile si fa sempre più personale, bizzarro, e assolutamente inincasellabile, a partire dallo splendido inizio con i due giornalisti che scendono dall'elicottero come provenienti dal futuro, nel bel mezzo di una piantagione di schiavi della prima metà dell'800.
Il film è molto radicale per come sposa la tesi ineluttabile di una guerra tra razze. Facendo spostare lo spettatore dalla lussureggiante bellezza di una piantagione del sud a quella delle strade in sanguinosa rivolta di una città americana del 1970. I padroni delle piantagioni invitano i registi che non vediamo ma udiamo unicamente le loro voci provenienti da dietro la cinepresa, come se interpretassero e invitassero la voce di Dio a venire qui e a vedere come essi si stabiliscono insieme per una cena. Durante la cena, come i padroni bianchi sono serviti dai loro schiavi c'è una discussione sulla schiavitù e l'atteggiamento generale per argomenti e temi è quello che uno potrebbe genericamente definire di destra, dato che secondo loro hanno il diritto di rendere schiavo un uomo, quindi perché non dovrebbero? Il film si sposta di nuovo e siamo caricati su di una nave di schiavi caricata oltre ogni sua capacità diretta verso l'America. Gli schiavi a bordo sono malati e malnutriti, i loro pasti periodici hanno la forma di una poltiglia che sembra segatura acquosa, la quale appare inadatta al consumo umano ma poi, per i proprietari di questa nave, questi esseri umani altro non sono che una merce deperibile, da vendere o scambiare, quindi già nel conto che un'alta percentuale di essi non arrivi a destinazione. Sarebbe se vogliamo più “facile” e “banale”, se lo sguardo fosse disgustato, mentre si guardano gli schiavi lottare per rimanere in vita contro la malattia, la fame, la disperazione e, infine, i negrieri prendere in consegna i loro corpi e gettare i morti in pasto agli squali. Quelli che ce la fanno ad arrivare in America, e questi sono relativamente pochi visto che come detto è stato già accettato da principio che molti sarebbero andati persi durante lo stremante viaggio fatto di privazioni, dolore e morte, coloro che vengono accolti si trovano in un nuovo inferno. Puliti e ammassati nei mercati, zone in cui possono essere venduti, le loro vite sono davvero perse come esseri umani. Sono solo merce, da scambiare e acquistare. Alcuni li vediamo condotti fuori dai recinti, perché in quanto superdotati si è pensato bene di servirsi di loro come tori da monta atti a ingravidare le donne in modo da creare sempre più schiavi selezionati. E qui vediamo mostrata molto immaginificamente l'idea tipicamente jacopettiana dell'uomo solamente bestia, con gli animali uomini bianchi che regrediscono il negro allo stadio animale di uomo-cazzo.
E se sì, caro spettatore, se siete ancora con noi fino a questo punto, siete un'anima coraggiosa, e saprete bene che le cose per come stanno possono solamente andare a peggiorare. Da qui in poi si fanno massicce le riprese nei bordelli di schiave per i padroni bianchi dove vediamo come gli uomini bianchi possano avere le loro fantasie soddisfatte da ragazze molto giovani, adolescenti, se non proprio bambine, che sono trattate come niente più di puttane, e questa parte ha molto carattere “sexploitation”, per lo spettatore abituato al cinema “di genere”, indugiando lungamente su come queste ragazze siano scandalosamente giovani, se non come detto proprio bambine, delle quali Jacopetti e Cavara non si tirano certo indietro, per mostrarcele lungamente molto nude. Ma si sa, la discrezione non è certo mai stata una caratteristica dello stile e del “touch” tipicamente jacopettiano. Alla fine finiamo su una spiaggia con un giovane nero del 1970 che sta leggendo il diario di uno schiavo che si era ribellato e diventato un killer di bianchi, uccise quelli che lo avevano oppresso, diventando così un eroe dal grande culto. Mentre il giovane si siede sulla spiaggia la sua mente vaga, guardando le famiglie bianche che scherzano intorno a lui, e sembra di vederlo non come un uomo isolato, ma come uno di loro. Mentre sogna ad occhi aperti il libro che sta leggendo diventa nella sua mente una realtà brutale. Si vede torturare e uccidere le famiglie che vede, scagliarsi quindi contro la memoria della schiavitù, e il “fantasma” del razzismo, oggi come l'ieri del 1970 quantomai concreto, e alla condiscendenza che si sente nella sua vita quotidiana. Il film si conclude come era iniziato, con immagini di guerre di strada, di percosse, e una domanda implicita, dove andiamo da qui? Grande finale, grande montaggio, il tutto trascinato dal brano stupendo di una delle colonne sonore più trascinanti che Riz Ortolani abbia mai composto.
E' difficile riuscire a consigliare un film più brutale, e questo perché molte persone lo trovano molto difficile da superare ancora adesso, e men che meno da potercisi empatizzare. Molte persone lo trovano ancora piuttosto sconvolgente, ed è proprio questo il punto centrale del film.
Questo film non glorifica la schiavitù e il razzismo -come potrebbe- , ma te li spiaccica in faccia talmente tanto che ti ci puoi fare degli impacchi, e di tutto ciò puoi vedere realmente l'orrore.
Se c'è un pizzico di comprensione dietro tutto questo, è dietro le immagini, non certo dietro un'eventuale commento, sempre improntato al più spiazzante e spericolato cinismo, troppo disarmante per poter essere compreso, nel suo sulfureo e temerario spirito contro tutto e tutti, e soprattutto nell'Italia ultra “ideologizzata” del 1971; da non essere quindi altro che rifiutato in blocco, perseguito e ostracizzato, come espressione “culturale” nient'altro che qualunquista, e apertamente fascista e reazionaria, come sempre quindi, per Jacopetti.
Quando molti di noi pensano alla schiavitù pensano alle persone costrette a coltivare i campi e a interminabili ore di lungo, duro, massacrante lavoro, ore di duro lavoro, sotto il sole. E sì, questa non è una vita che nessuno di noi vorrebbe o desidererebbe per un'altra persona, ma la realtà è che la schiavitù era molto più vile e disumana di tutto quel che possiamo immaginare, fino a che non vediamo “Addio Zio Tom”. Ad esempio però, ad un certo punto il medico sta mostrando ai cineasti del documentario il suo laboratorio e gli esemplari, cioè tutti gli schiavi in suo possesso, tenuti in gabbie, e qui lo sentiamo parlare di come questi non sono esseri umani, minimamente, ma solo animali, e che devono quindi essere trattati come tali. Ci viene mostrato un mondo di orrore, un mondo che non è fatto per come nemmeno possiamo intenderlo fino in fondo adesso, ma un mondo che dobbiamo e possiamo affrontare, grazie ad un film come questo, all'apparenza così spietato e scevro di ogni luce di cristiana pietà. Ci sono momenti in cui possiamo ascoltare le osservazioni degli autori, e qui ci viene dato il loro parere, le loro opinioni, con le quali si arriva il più vicino possibile a quella che si può definire una “morale pulita”. La morale è scritta chiaramente nel film, ma non dichiarata, ed è che questo è quello che è successo, quindi cosa possiamo farci più in proposito?
Il film è molto ben fatto, il senso di marciume, di lezzo, la foschia delle paludi schiarita dal sole, così come le immagini di grandi case coloniali, campi di fiori, facciate sbrecciate, immagini di placida e rurale pace e tranquillità, che allora ci spingono ancora più prepotentemente e per contrasto, a guardare in faccia gli schiavi stipati all'inverosimile nel sudore, nel sangue e nella merda, come direbbe P.P.P. -che con Jacopetti ha avuto, e sarebbe interessante una ricerca al riguardo, molti più motivi di “incontro-scontro” ideologico e culturale di quelli che si potrebbe solo lontanamente immaginare, all'epoca- nello scafo di una nave negriera, e di come gli schiavi abbiano poi inevitabilmente aver dovuto tirare fuori i denti, dopo aver mangiato come maiali recintati in un porcile, o lentamente marcire in un buio umido, legati alla catena. La recitazione poi è troppo sorprendentemente buona (e Jacopetti, Prosperi, e il fido organizzatore generale livornese poi collaboratore di Deodato per “Cannibal Holocaust” -genere cannibalico con il quale Jacopetti però non c'entra, ne c'è mai entrato nulla-['80] Palagi, si ritagliano lo sgradevolissimo ruolo di irriconoscibili cacciatori di negri fuggiti nelle paludi, e soprattutto del suddetto schiavo ribelle e assassino di bianchi, con straniante e “scandaloso”, apparente compiacimento e partecipazione), il film anche per questo non scivola mai nella parodia o nell'assurdità, anche se ci sono scorci di raro umorismo. Il più grande difetto del film, se così vogliamo dire, è che è così spietatamente deprimente e oscurantista sulla reale natura e qualità dell'uomo, che lo spettatore è quasi preso dallo scoraggiamento, di finire il film.
Quello che dobbiamo anche ricordare è che però “Addio Zio Tom”, e ben oltre le apparenze, è un film politico eccome, tanto più perchè è di finzione, sotto l'aurea di un “mockumentary” come si direbbe oggi, il che gli permette di poter essere ancora più liberamente disturbante, e d'assalto, nelle sue immagini scioccanti. Nel film non ci sono personaggi bianchi redimibili, e non c'è neppure compassione umana dimostrata da e per gli schiavi. E questo anche perchè nella storia degli Stati Uniti ci sono comunque stati un sacco di grandi personaggi (illustri politici e religiosi compresi), che erano proprietari di schiavi. Se è sbagliato come nel film dire e sostenere che ognuno di loro era un mostro e che tutti trattavano i loro schiavi così brutalmente come mostrato, è stata però anche sbagliata la loro vita, visto il loro esempio a cosa portava. “Addio Zio Tom” ci mostra quelle immagini che i realizzatori vogliono farci vedere, e cioè il peggio del peggio. Siamo, in sostanza, all'inferno mostrato e il grande stile di Jacopetti, nei suoi arditi accostamenti e montaggi, pare chiederci se lo perdoniamo di fare ciò, al prezzo di riuscire a farci credere che tutto questo esistesse davvero, come infatti è stato. Qui non si tratta di dover perdonare alcunché, (come in Italia chissà poi davvero i reali e dimostrabili motivi, è sempre sembrato di dover addebitare qualcosa di veramente colpevole e turpe a Jacopetti), ovvero la sua “grana grossa” nell'accostarsi e affrontare da realizzatore/i un tema così doloroso e arrischiato, senza preoccuparsi di trattarlo mostrando una visione equa ed equilibrata della schiavitù, ma è più a mostrare il peggio del peggio, che invece ci si può costringere in qualche modo a farvi fronte. Questo non vuole essere un film giusto, esso vuole essere un lavoro di finzione, ma molto ben fatto, se non sull'argomento, il migliore mai fatto. Certamente più del successivo grande successo -e a cui sotto molti aspetti, ha aperto la strada- “Mandingo” (Usa'74) di Richard Fleischer.
“Addio Zio Tom” ripeto, è sicuramente un film oscuro e brutale come effettivamente è, ma è anche un film brillante, e un'uscita importante. Raramente si è vista una rappresentazione così reale della schiavitù e dei suoi peccati come quella che ci è stata presentata qui, e anche se non è un film piacevole da guardare è un film che andrebbe assolutamentre visto. La sua mancanza, tipicamente jacopettiana, di ogni falso moralismo passa attraverso una sola apparente immoralità per raggiungere un alto risultato emozionale ed empatico. Grazie anche al suo notevole livello tecnico e realizzativo, abolisce ogni fantasia cinematografica precedente inerente allo schiavismo, così come la falsa cognizione che ci siamo evoluti dal razzismo passato come società, quando anche adesso che Obama siede nello studio ovale della Casa Bianca lo spauracchio della schiavitù e del razzismo incombe ancora come non mai sulla cultura e la società americane. Il cinema americano fino agli anni sessanta e all'avvento della prima virulenta “blaxploitation” era sempre ben sfuggito dal razzismo e dalla rappresentazione iperrealista della schiavitù per molti anni, e forse è grazie anche a film come quello di Jacopetti (che gode di status di vero cult, proprio negli Usa) che venne il tempo di girare finalmente film sul tema e affrontarlo, di affrontare i suoi orrori, e di chiedere allo spettatore cosa fare davvero, dove andare e agire e in quali maniere e con quali mezzi, potere verificare che tali atrocità siano fermate per tutto il resto del mondo. “Addio Zio Tom”, difficile da vedere e da sostenere, ma un gran film. Ad avviso di chi scrive, il migliore, più completo, conciso e potente, di Jacopetti.
Biografia Dalla pagina wiki dedicata a Gualtiero Jacopetti:
Gualtiero Jacopetti (Barga, 4 settembre 1919 – Roma, 17 agosto 2011) è stato un giornalista, regista e documentarista italiano. È noto come il creatore, insieme a Paolo Cavara e a Franco Prosperi, del genere cinematografico dei Mondo movie.
Dapprima giornalista, negli anni Cinquanta interpretò il ruolo di un avvocato in Un giorno in pretura di Steno. Negli stessi anni si fece notare come sceneggiatore di Europa di notte (1959) di Alessandro Blasetti, considerato l'antesignano dei film Mondo (anche se maggiormente sul versante sexy), e nel 1960-61 realizzò assieme a Franco Prosperi e Paolo Cavara il documentario Mondo cane, rassegna internazionale di usanze bizzarre, esotiche e crudeli, un vero e proprio pugno nello stomaco per lo spettatore dell'epoca, poco abituato a certi argomenti tabù.
Nonostante le aspre critiche per la durezza delle immagini e il cinismo del commento, il film ottenne un successo enorme in tutto il mondo ed una nomination all'Oscar per la migliore colonna sonora, la celeberrima More, il tema principale dell'ispirata soundtrack del film, realizzata da Riz Ortolani e Nino Oliviero. A Mondo Cane seguì Mondo cane 2 (1963), sequel meno violento e più ironico del precedente ma altrettanto apprezzato dal pubblico, in cui molti contributi provenivano anche da Abruzzo, Calabria e Lazio (suggestive le immagini che riportano la processione e i particolari usi della confraternita dei Sacconi rossi, nella cripta della Chiesa di San Bartolomeo all'Isola, sull'isola Tiberina).
Jacopetti lavorò sempre in coppia con l'amico Franco Prosperi e con una troupe dove figurava come organizzatore lo scrittore Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito Nievo. Per la verità Jacopetti ha sempre rinnegato il secondo capitolo di Mondo Cane poiché ritenuto una mera operazione commerciale. Molti dei contributi che si vedono nel film sono infatti scarti di montaggio del primo capitolo. Dopo "La donna nel mondo", analisi meno feroce, ma parecchio irriverente della condizione della donna in vari paesi (1963) Jacopetti realizzò insieme a Prosperi "Africa addio" (1965-66), scioccante resoconto sui tragici effetti della decolonizzazione in Africa, con drammatiche immagini sul selvaggio sfruttamento della fauna africana e sull'inadeguatezza delle popolazioni indigene ad autogovernarsi.
Anche questo film venne duramente stigmatizzato dalla critica, che accusò il film di razzismo e gli autori di comportamenti sconsiderati (il settimanale L'Espresso sostenne che i registi avrebbero fatto ritardare un'esecuzione capitale per permetterne la ripresa, anche se anni dopo questo fatto è stato categoricamente smentito). Nel 1971 i due registi realizzarono "Addio zio Tom", beffarda indagine sulla schiavitù negli Stati Uniti dell'Ottocento. Il film si discosta dai precedenti reportages perché palesa sin dalla prima inquadratura che si tratta di una ricostruzione filmata: due giornalisti scendono da un elicottero proveniente dal futuro per un reportage "in soggettiva" sul commercio degli schiavi. Anche lo stile si fa ancora più beffardo e bizzarro, allontanandosi dall'approccio asciutto dei precedenti mondo-movies della coppia.
Nel 1975 Jacopetti diresse "Mondo candido", trasposizione in chiave moderna del Candido di Voltaire. Questo lavoro, che univa visionarietà e ironia, non venne compreso né dalla critica né dal pubblico ed ebbe grossi problemi produttivi, rimanendo il "canto del cigno" di questo scomodo, ma abilissimo narratore italiano. Sguardo profondo e attento del contraddittorio rapporto tra tradizione e globalizzazione sfrenata, nel corso della sua carriera Jacopetti è stato accusato a più riprese di razzismo e di un fanatismo di stampo fascista. Alle dure accuse il regista ha sempre ribadito di essere un liberale, concepito come lo intendeva il suo maestro di giornalismo Indro Montanelli.
Jacopetti lavorò inoltre con la televisione giapponese nella realizzazione di alcuni documentari. Viveva a Roma e la sua vena di viaggiatore lo portava ancora a intraprendere spedizioni e viaggi. Il 28 gennaio 2011, Bussi ha intervistato Jacopetti nel corso del programma Punto e a capo su Class News Msnbc. Sempre a Bussi, Jacopetti ha concesso la sua ultima intervista il 1° aprile 2011 nella sua casa di Roma.
Influenze nella cultura popolare
- Gli U2 nel corso del loro tour mondiale Zoo Tv del 1992-1993 hanno proiettato sui megaschermi spezzoni tratti dai film di Jacopetti. Esemplare il clip della versione live di Numb. E nel 2010 il cantante americano Mike Patton ha pubblicato un album di cover italiane anni 60 intitolato Mondo Cane.
- Nel dicembre 2010 è uscito "Mondo Cane Addio". Un delirio su Gualtiero Jacopetti di Marcello Bussi, un testo in cui si intersecano una parte fiction, ove si dimostra l'impossibilità di girare Mondo Cane al giorno d'oggi, e una parte in cui si illustrano vita, pensieri e opere di Gualtiero Jacopetti. Il libro è stato autopubblicato su lulu.com .
Questo invece dalla pagina wiki dedicata a "Addio Zio Tom":
"Addio zio Tom" è il quinto lungometraggio della coppia di registi formata da Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, famosi per aver dato origine al genere mondo-movie. Il film arrivò alcuni anni dopo le polemiche seguite ad "Africa addio", scaturite in seguito alla descrizione dei disagi del continente africano dopo la fine del colonialismo europeo. Fu girato fra gli Stati Uniti ed Haiti grazie alla intercessione del dittatore François Duvalier che concesse lo stato di corpo diplomatico alla intera troupe per i diciotto mesi di durata delle riprese.
(n.d.r.: e concesse pure numerosissime comparse, ai tempi "quasi schiavi" sotto il suo delirante regime che durò 50anni prima di terminare in una sanguinosa rivolta civile)
A differenza di Africa addio, Jacopetti e Prosperi rivelano subito che lo spettatore si trova davanti a una rappresentazione di fiction, seppur basata su fatti documentati. "Addio zio Tom" è un "documentario nella Storia", che si addentra nell'America schiavista dell'800, fotografata dai due autori in soggettiva, intervistatori proiettati nel passato e alle prese con personaggi bizzarri e spiazzanti, tutti coinvolti nel traffico di uomini e donne africane.
Il film si propone come una spiazzante satira sociale volutamente sopra le righe e di fatto resta un oggetto anomalo e irripetibile nel panorama cinematografico italiano, differenziandosi stilisticamente anche dai precedenti lavori della coppia.
Ampiamente criticata per razzismo e pretestuosità, nonché per un neo-schiavismo massmediologico nei confronti di una moltitudine di comparse di colore (e spesso nude), la pellicola non ha avuto facile circolazione a causa della censura ed è stata inizialmente sequestrata, per essere poi rimontata (con interventi dello stesso Jacopetti) e rieditata con il titolo alternativo di "Zio Tom". Il director's cut (140' circa) è adesso disponibile in dvd in alcune edizioni estere, tra le quali "The Mondo Cane Collection", cofanetto uscito negli Stati Uniti e comprendente in edizione integrale anche "Mondo Cane", "Mondo cane 2", "La donna nel mondo", "Africa addio" e il documentario "The Godfathers of Mondo", sulla carriera dei due registi e sul fenomeno mondo-movie.
Da segnalare la colonna sonora di Riz Ortolani, storico collaboratore di Jacopetti e Prosperi fin da Mondo Cane.
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