Regia di Silvia Giulietti vedi scheda film
La vera città di Fellini è quella delle donne (e su questo non credo ci siano dubbi)
Fellinopolis è quello che la regista e produttrice Silvia Giulietti ha recuperato, rimontato e integrato con nuove interviste del materiale inedito che il filmmaker Ferruccio Castronuovo, con l’incarico della Cineteca nazionale di realizzare dei filmati che sarebbero poi serviti per alcuni film promozionali, aveva girato ai tempi di Fellini.
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Forse perché, per pura coincidenza, è uscito nelle sale il 7 giugno del 2021, una data che ha qualche significato per me, forse perché mi ero occupata a tempo pieno di Fellini (perfino troppo) per il centenario così fellinianamente beffato dalla cosiddetta pandemia che tutti i santi si portò via, forse in realtà per nessun motivo credibile, ma l’arrivo sul benemerito Mubi di Fellinopolis è sembrato un risarcimento, e si sa quanto ci piaccia scoprire segni magici anche nelle cose più stupide.
Bene, cos’è questa città di Fellini?
Rimini? Oh, sì, certo, le radici non si dimenticano mai.
Potremmo dire Roma? Certo, ecco cosa diceva lui di Roma:
“Vivere a Roma per me è partecipare a questa danza della vita che mi obbliga a fare cinema. Io vivo a Roma, e poichè non sono nato qui, non desidero lasciare questa città. Vivere a Roma è fare cinema in continuazione, e non provo gioia da altra madre che non sia Roma.Questa immensa pancia placentaria è la madre profonda e nutriente che evita le nevrosi. Mi basta andare in strada per contemplare la pellicola della vita.”
Potremmo dire Cinecittà, teatro 5? Eccome no! lui lì ci abitava più che in città e Fellinopolis mette in scena quegli uomini e donne, maestranze, musicisti, attori e attrici, anche gente qualsiasi che Fellini incontrò lì e lo circondò.
E ci sono quasi tutti, contenti di essere lì.
Potremmo dire il mondo intero? Sì, forse è più appropriato, confini sfuggenti, sfumati, avvolgenti, dove è arrivato Mastorna. Chi c’era ad aspettarlo all’arrivo?
Un poeta, come lui, Zanzotto:
Versi in onore di Federico
Tra vellichii sfrigolii tintinni di colori
tra il remoto l’oggi il futuribile, di fogliame in fogliame,
o per mari accesi di acrilici tic chissà quali trame
o rotte, o che rottami e perlate, o che disegnino trai fuori
………………………………………….
ciack! - Federico - è il tuo circo che erutta e deflagra con gusto
vi piroetta e saetta la festa che maschere appioppa o strappa:
possa ognuno della folla che alla tua giacca s’aggrappa
conoscere almeno se ha la parte del Bianco o dell’Augusto!
Fellinopolis: la città di Fellini, “quel grande Pinocchio che per fortuna non è mai diventato un bambino perbene” diceva Scola, non esiste.
Cosa diceva Federico? Ricordiamolo:
“Fare un film è come fare un viaggio. Ma del viaggio mi interessa la partenza, non l’arrivo. Il mio sogno è fare un viaggio senza sapere dove andare, magari senza arrivare in nessun posto”.
Ecco, nessun posto, dunque dappertutto.
Fellini partiva da quel teatro 5 che ne ospitò anche il funerale (credo si sia fatta una bella risata quando lo seppe), e poi iniziava il viaggio, i viaggi.
La sua città fu il cinema:
“Paisà è stato il vero primo incontro col cinematografo. Da lì ho capito che il cinematografo forse era il mezzo di espressione mio più congeniale, che, facendo il conto con la mia pigrizia, con la mia ignoranza, con la mia curiosità di vita, con la mia voglia di curiosare, di vedere tutto, di indipendenza, di mancanza di regola e di capacità di veri sacrifici, mi sentivo che il cinematografo era la forma di espressione più giusta per me e questa qui è la lezione vera che ho preso da Roberto Rossellini"
Fellini è un marchio, un brand, diremmo oggi, ma… ma…, non bastano commemorazioni e resurrezioni, ricordiamo cosa disse Tullio Kezich, una volta:
“Era un uomo che portava vitalità dappertutto […] poi ha perso l’allegria e anche la capacità di comunicarla e, piano piano, si è un po’ spento […] cominciava ad avere difficoltà di lavoro perché non trovava produttori, con la televisione c’erano tempi enormi di attesa […] Il potentato economico italiano ha fatto pochissimo per Fellini. Avevano questo genio universale, questo personaggio che rappresentava l’Italia fino negli estremi paesi del mondo, e nessuno gli dava una mano, nessuno gli dava la possibilità di avere un lavoro continuo… a lui sarebbe piaciuto andare tutti i giorni a Cinecittà, girare tutti i giorni, gli piaceva…”
A lui sarebbe piaciuto. Certo. Oggi lo commemorano, ne parlano, lo celebrano.
A lui sarebbe bastato molto meno.
Ma c’è sempre il suo amico poeta veneto a capirlo, uno di cui Fellinopolis si è proprio dimenticato:
“Fellini tocca tutti i sottofondi del vissuto individuale e collettivo dei recenti decenni, nei suoi aspetti antropologici, psicologici, etici, fantastici e realistici.
Il secondo Novecento non è mai stato veramente tranquillo e Fellini è stato uno dei personaggi capaci di captarlo, uno dei maghi, come in un certo senso è proprio il caso di chiamarli: col suo sciamanesimo misterioso coglieva nel profondo, pur correggendolo poi sempre con la sua vena umoristica, anzi vignettistica.
Fellini è protagonista e interprete della nostra epoca come pochi lo seppero essere o ebbero la statura per esserlo.”
E Fellini lo ringrazia, erano i tempi di Casanova e quel dialetto! Bisognava far qualcosa:
“Vorrei tentare di rompere l’opacità del dialetto veneto che, come tutti i dialetti, si è raggelato in una cifra disemozionata e stucchevole, e cercare di restituirgli freschezza”.
(Guardare Signore e Signori per capire cosa intende con “cifra disemozionata e stucchevole” o fare un giro lungo la strada del prosecco).
E allora, anche il Veneto è un pezzetto della polis di Fellini?
Perché no?
Ma forse la vera città di Fellini è quella delle donne (e su questo non credo ci siano dubbi):
“Il cinema in quanto seduzione irresistibile è qualche cosa di femminile, nella sua essenza.”
Il cinema, vocabolo maschile stando alla grammatica, femminile stando al calore materno che emana, al viscerale slancio uterino che abbraccia, a volte soffoca, comunque ristora.
Il cinema, o la cinema, lo guardava disegnare, come un figlioletto geniale:
“Questo quasi inconsapevole, involontario tracciare ghirigori, fare pupazzetti che mi fissano da ogni angolo del foglio. volti decrepiti di cardinali, e fiammelle di ceri e ancora tette e sederi e infiniti altri pastrocchi. insomma, tutta questa paccottiglia grafica, dilagante, inesausta, che farebbe il godimento di uno psichiatra, forse è una specie di traccia, un filo, alla fine del quale mi trovo con le luci accese, nel teatro di posa, il primo giorno di lavorazione.”
Nella sua polis.
www.paoladigiuseppe.it
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