Regia di vedi scheda film
Il giornalista kazako Borat, dopo 14 anni di dura prigionia, viene riabilitato per una missione speciale: dovrà portare in dono una scimmia a Michael Pence, vicepresidente degli Usa. Arrivato a destinazione, Borat deve ripiegare su un piano meno complicato: donare sua figlia 15enne a Rudy Giuliani, l’avvocato di Trump, che mostra di gradire molto il regalo.
Rudy Giuliani (in persona, ripreso da una telecamera nascosta) smania all’idea di approfittare sessualmente di una minorenne, ma non appena prende in mano il membro per sfoderarlo contro la ragazza, sbuca fuori Sacha Baron Cohen vestito da prostituta, nel tentativo disperato di buttare in caciara quell’accoppiamento furtivo tra uno degli uomini più potenti del pianeta e una ragazzina, che ovviamente è in realtà un’attrice, e soprattutto evitando il peggio. Questo è l’apice del sequel di Borat (2006), nient’altro da aggiungere in merito. E poi ci lamentiamo di Berlusconi, in Italia: pur nella sua semplicità e nella sua demenzialità, un film come Borat – Subsequent moviefilm (traduzione orripilante la nostra: Borat – Seguito di film cinema) dimostra che tutto il mondo è paese, non è che negli Stati Uniti del 2020 i governanti siano meno dei vecchi viscidoni arrapati dei nostri. Maria Bakalova è l’eccellente spalla di Cohen, che è anche a capo di un team di ben 8 (!) sceneggiatori e figura come produttore dell’opera; in un cameo compare anche Tom Hanks nei panni di sé stesso. Se, arrivati a tre quarti del film, si pensa “ok, ma il primo Borat era meglio, questo è un po’ più fiacco e troppo spudoratamente fasullo”, il finale per forza di cose ribalta totalmente la situazione, rendendo il tutto addirittura sublime: sia per la candid camera che lascia a bocca asciutta il vorace predatore sessuale Giuliani, sia per la spiegazione seguente che dà un senso a molte cose apparentemente buttate lì nel film. Ad alzare il coefficiente di difficoltà, con ogni probabilità a metà delle riprese si è presentata l’emergenza covid-19, che ha costretto gli autori a rimaneggiare pesantemente il copione e il regista Jason Woliner a modificare sensibilmente i programmi; il risultato a conti fatti è assolutamente convincente, nei limiti di una pellicola volutamente sgangherata e dotata di una comicità crassa, eccessiva, spudorata. Presumibilmente le uniche tre candid vere – il resto è troppo poco credibile per non essere effettivamente recitato – sono quelle a Michael Pence, al convegno dei repubblicani nazisti-negazionisti e al satiro Giuliani. 6/10.
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