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Borat - Seguito di film cinema: Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan

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La recensione su Borat - Seguito di film cinema: Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan

di axe
6 stelle

Nonostante un felice rientro in patria, l'avventura del giornalista kazako Borat Sagdiyev si è conclusa male. Il Kazakistan, a causa del suo "documentario" è diventato, nella scena internazionale, uno zimbello, e pertanto Borat è stato messo ai lavori forzati. Grazie all'elezione di Donald Trump alla carica di Presidente Degli Stati Uniti, la nazione asiatica ha una possibilità di riscatto. Avendo visto come Trump abbia stretto legami con leader internazionali anche molto "discussi", il Presidente kazako invia Borat negli Stati Uniti con un dono per il politico repubblicano Pence; prima di partire, però, al "dono" si sostituisce la figlia sedicenne di Borat, Tutar, la quale ambirebbe a trovare un uomo che la renda felice secondo i canoni kazaki. Borat decide pertanto di regalare Tutar a Pence; inizia così una serie di avventure negli Stati Uniti, mentre si avvicina il dilagare del coronavirus. Seguito del contestato "Borat" del 2006, di cui consiglierei la visione per meglio comprendere l'opera in esame, questo film ne riprende le tematiche, attualizzandole. Borat è ancora a confronto con la società americana, la cui lettura, filtrata dalle proprie indole e mentalità, ne evidenzia contraddizioni ed ipocrisie. Nello specifico, la sceneggiatura stigmatizza il ruolo dei social network nell'orientamento del pensiero e l'influenza negativa delle fake-news nel pensiero di una larga parte di popolo, rappresentanta come ignorante, e priva della capacità di riconoscere la fondatezza di una informazione; riprende il tema del razzismo e della superficialità. Queste forti critiche sono però molto meno velate. Trump, le sue politiche, il suo partito ed i suoi elettori sono oggetto di chiaro attacco; si può concordare o no; volendo attenersi ad una valutazione oggettiva, l'evidenza di tale posizione rende la satira molto più "grossolana". E' questo il primo film in cui sento parlare di coronavirus. La sceneggiatura ipotizza una fantasiosa - ed un po' "cruda" - teoria sulla diffusione della malattia. Affronta comunque l'argomento del negazionismo, legando tale connotato ad un certo elettorato di Trump. Anche in questo episodio, l'immagine del Kazakistan non ne esce indenne. La giovane coprotagonista Tutar tanto è stata influenzata dalla supposta cultura discriminatoria kazaka - sintetizzata in un "manuale" per la sua educazione fornito dalle autorità - da considerare normale essere trattata peggio di un animale; tuttavia, grazie ad una curiosità innata e ad un incontro fortunato, ha l'occasione di "emanciparsi" e trainare una sorta di progresso sociale in patria. Sacha Baron Cohen, quale scrittore e interprete dell'immaginario giornalista asiatico, fa un buon lavoro. L'opera piacerà agli estimatori del personaggio e del prequel; può apparire "eccessiva" per gli altri; in particolare, a causa di una così netta presa di posizione, può irritare più di uno spettatore.

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