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Quella villa accanto al cimitero

Regia di Lucio Fulci vedi scheda film

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La recensione su Quella villa accanto al cimitero

di (spopola) 1726792
7 stelle

Il cinema di Fulci è un cinema che ripropone a piene mani situazioni e contesti mutuati dalle "mode" del momento e dai successi made in U.S.A. Così, anche in questo caso i riferimenti sono evidenti, ma ampiamente riscattati dal talento visionario della messa in scena che ha momenti davvero memorabili.

Come al solito (e non è certo una novità), il cinema di Fulci è un cinema di riporto che tenta di acquisire (e riprodurre a piene mani) situazioni e contenuti mutuati dalle mode del momento e dai successi made in U.S.A. Così, anche in questo caso i riferimenti e le derivazioni sono molteplici perfettamente centrifugate però dal talento visionario di un regista che comunque riesce sempre a coinvolgere lo spettatore e a trascinarlo nel gorgo della paura anche quando la storia (come in questo  caso) fa davvero acqua da tutte le parti.

Terzo e ultimo capitolo della cosiddetta "trilogia della morte” iniziata nel 1980 con Paura nella città dei morti viventi e proseguita poi nel 1981 con …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà (suo indiscusso capolavoro) il film non raggiunge la stessa intensità emotiva (a causa soprattutto di una trama un po’ troppo sfilacciata) di queste sue due precedenti fatiche, ma si rifà alla grande nel riuscire  a creare (a patto che si accetti una necessaria e prolungata sospensione di credulità) una tensione spasmodica al cardiopalma per il suo insieme di orrore, suspense, ed effetti splatter (non so se ci si trovi davvero davanti al film più spaventoso e sconvolgente della sua carriera, così come è stato definito da qualcuno, ma ci si avvicina comunque parecchio nel suo essere particolarmente “gore” vista la truculenza spropositata ed estrema di alcune sequenze indubbiamente “ingenue” - oltre che rozzamente elementari - dove il sangue è davvero sprecato a litri) che lo rendono oggettivamente terrorizzante.

Pellicola particolarmente amata da Tarantino, è qui ancora una volta la povera Katherine MacColl (protagonista  dell’intera trilogia) a dove fare i conti con tute le nefandezze sparse a piene mani in questo racconto senza capo né coda (ma forse proprio per questo, affascinante soprattutto se non si hanno molte pretese di “veridicità dei fatti”).

I luoghi deputati in cui si svolge la vicenda, sono quelli canonici (sfruttati insomma fino all’osso da una buona parte degli horror passati e presenti che sono transitati sullo schermo): una giovane donna che viene portata suo malgrado dal marito in una villa (con cimitero annesso)  sperduta dentro a un bosco, una traccia “gialla” che poi non viene nemmeno sufficientemente sviluppata con una logica coerente  ma serve esclusivamente per pretesto  (l’indagine che svolge il marito sul misterioso suicidio di un suo collega), un bambino (quello di questo film è particolarmente saccente e odioso però) che possiede il dono di una paranormalità che gli consente di dialogare con una presenza occulta che abita la casa e che prova a mettere sull’avviso del percolo la sua famiglia (ma non viene però ascoltato poiché se gli si desse credito come la razionalità e la logica consiglierebbero non si sarebbe potuto fare un film in cui tutti i personaggi sono spesso costretti - dal copione – a compiere azioni incomprensibili e davvero prive di ogni logica) e la presenza di un mostro assetato di sangue che si aggira nei meandri della cantina che è poi ciò che resta di uno scienziato come al solito pazzo: il Dottor Freudstein (in nome omen si potrebbe dire anche se storpiato alla bisogna) che in vita aveva compiuto  arditissimi esperimenti  utilizzando biecamente molte cavie umane e che adesso, dopo la sua “dipartita”,  è creduto sepolto nel piccolo cimitero di famiglia adiacente alla villa (un altro dei tanti “luoghi comuni” contenuti dalla pellicola).

Ci sono ovviamente molte altre incongruenze demenziali sparse a piene mani (ma forse è proprio questo il suo bello che ne fa uno stracult alla Giusti). Preferisco però non darne conto altrimenti finirei per guastare l’interesse di chi, non avendo ancora visto il film, desidera approcciarvisi per la prima volta.

Posso solo aggiungere che accanto a momenti che sfiorano davvero il ridicolo, ce ne sono altri di grande intensità costruiti con l’arte di chi sa fare cinema (e Fulci è indubbiamente uno di questi) come l’uccisione davvero grandguignolesca dell’agente immobiliare, il lungo piano-sequenza del pipistrello che morde la mano del professore, o la carneficina finale nella cantina piena di cadaveri squartati (che per inciso  nessuno aveva mai notato prima).

 

Non si può dunque cercare una logica nel cinema di Fulci i cui soggetti sono compresi sempre dentro un numero minimo di pagine tutte sapientemente (ed opportunamente) scopiazzate in giro. Quello che conta è la sua visionarietà, il suo modo di mettere in scena (e raccontarci così tutti i possibili orrori del mondo nel susseguirsi continuo di immagini frequentemente folgoranti). Pellicole senza “storia”  insomma le sue, che hanno spesso analoghi ingredienti: una casa (quasi sempre isolata),  dei personaggi irrazionali quando non addirittura demenziali nei loro movimenti fuori da ogni logica che sembra se la vadano a cercare,  dei morti che tornano dall’aldilà assetati di sangue e di carne, e qualche figura memorabile che rende indimenticabile la visione (qui il Dottor Freudstein appunto, uno zombie un po’ rudimentale  e antropomorficamente elementare) caratterizzato da inquietanti mani dalle dita lunghissime (che in qualche nodo sembrano voler anticipare  le  taglienti "lame” di quelle del Freddy Krueger di Wes Craven) e una faccia e un fisico in decomposizione.

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