Regia di Lasse Hallström vedi scheda film
“Buonanotte, principi del Maine, re della nuova Inghilterra”. Ogni notte, dopo aver letto un libro, saluta così il dottor Wilbur Larch, uno di quei medici che vedono al di là del proprio naso, senza padroni e fuori da ogni dogma, che da una vita dà tutto se stesso affinché l’orfanatrofio da lui diretto funzioni nel modo più dignitoso possibile. Qui dentro, Wilbur esercita pratiche abortistiche, perché ha capito che non si può mettere al mondo un figlio non voluto: offre assistenza medica alle donne che la società reputa perdute, e in più cresce tutti quei bambini che il mondo o le circostanze della vita hanno rifiutato, provando ad essere il padre che non è mai stato.
Tra tutti questi bambini, chi desideroso di un’esistenza normale con dei genitori veri, chi convinto che non ci sia altro orizzonte al di là dell’orfanotrofio, e chi gravemente malato, il forte ma tormentato Wilbur individua nell’orfano Homer una linea di continuità: lo educa alla professione medica, lo tratta da figlio putativo; e quando Homer decide di andare via, è proprio Wilbur colui che ne soffre maggiormente, sentendosi tradito da quel ragazzo a cui non è bastato quel microcosmo. Eppure, come ogni padre, sa perfettamente che Homer ha scelto la via più giusta: purtroppo non lo vedrà mai alla guida dell’orfanotrofio, perché il dottore muore per un’overdose di etere, di cui era dipendente.
Homer, al ritorno, è un uomo, diventato medico sul campo, e comincia a covare qualche dubbio sulle certezze del suo mentore, il cui dolce fantasma aleggia anche nel saluto che il ragazzo fa ai bambini ogni notte. Non è un caso che in questo splendido racconto di formazione sia la sezione dedicata al rapporto tra Homer e Wilbur la parte più interessante ed appassionante: fu una precisa richiesta di John Irving, autore del romanzo che sta all’origine del bel film di Lasse Hallstrom, che in sede di sceneggiatura decise di privilegiare questo elemento rispetto alla più canonica storia d’amore tra Homer e Candy, più che altro caratterizzata dalla sensazione di scoperta del mondo (la vita al di fuori dell’orfanotrofio, cioè la vita vera, e quindi l’amore, il lavoro, i soldi) da parte del ragazzo.
Film classico, dal passo flemmatico e con piglio scorrevole, è un romanzo emozionante che pone al centro il faticoso tema della crescita, del passaggio dall’adolescenza alla maturità, affrontandolo con pudore ed onestà ma senza vie di fuga e scorciatoie (la morte del piccolo bambino malato ne è la prova), riuscendo nella rara impresa di coniugare intimismo con spettacolarità, delicatezza e gravezza tematica. Hallstrom non è mai stato un grande regista, ma qui azzecca quello che è forse il suo miglior film americano, anche perché ha dalla parte sua una sceneggiatura pregiata e un reparto tecnico di casse, nonché un cast intonato (Jane Alexander e Kathy Baker specialmente, mentre Charlize Theron è l’archetipo della bellezza) capitanato dal tenero Tobey Maguire (con cui si identifica facilmente) e, soprattutto, dal magistrale Michael Caine nei panni di un personaggio immenso. Lecito, oserei dire inevitabile, piangere almeno in due sequenze: la partenza di Homer e la morte di Wilbur.
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