Regia di Lasse Hallström vedi scheda film
La naturale necessità di cambiare prospettiva per capire e apprezzare il proprio punto di partenza, per poi farvi ritorno. Un viaggio disorientante per orientarsi nel mondo. Un film disorientato appunto tanto quanto il suo protagonista, ma come il suo protagonista colmo di buone intenzioni e pregevoli virtù.
“Questo non è King Kong”. Questa è la frase esemplificativa con cui il protagonista manifesta quanto povero e circoscritto fosse il mondo in cui è vissuto fino alla soglia della maggiore età. Un mondo costellato di contraddizioni, in quanto la semplicità (o semplicioneria, sarebbe meglio definire) di quella vita trascorsa in orfanotrofio sotto le egide ali di una figura paterna anch’essa contraddittoria, è assai stridente con le complessità con cui Homer Wells si confronta sin dalla sua tenera età: l’essere orfani appunto, a cui si aggiunge la competitiva condivisione della propria esistenza con altrettanti aspiranti adottivi, considerati fratelli e rivali al tempo stesso, la seconda guerra mondiale sullo sfondo (la storia è ambientata nello stato del Maine, nei primi anni quaranta), un via vai di donne più o meno giovani che si rivolgono al dottor Wilbur Larch per interrompere gravidanze indesiderate, aborti praticati in maniera del tutto clandestina (saranno legalizzati a partire dal 1973) che il dottore e gestore dell’orfanotrofio esegue spinto da un personale senso civico e da un sentimento di forte empatia per le situazioni più disparate (e disperate) che portano una donna a concepire un figlio che sarà costretta poi ad abbandonare, generando un orfano di fatto.
Il dottor Wilbur Larch si prende cura degli orfani della sua struttura con dedizione e fare paterno, un uomo maturo e sofferente al tempo stesso, che soffre la pena di quelle tenere creature sole al mondo. Tenera creatura quale Homer Wells, che diventa adolescente e uomo in orfanotrofio in quanto nessuna famiglia si dimostra propensa ad adottarlo; diventa pertanto assistente del dottor Larch non solo nel prestare cura agli altri orfani, ma anche nel praticare gli interventi di aborto, fino al punto di diventare competente e autonomo nell’esercizio di tale pratica.
Homer vorrà scoprire il mondo e il dottor Larch dovrà prenderne atto a malincuore; tale processo sarà fondamentale non solo per la crescita del protagonista (che scoprirà che il cinema non è fatto solo di King Kong, che si può imparare andando oltre i testi di Dickens, una crescita che lo porterà a scoprire la sessualità con tutte le dinamiche complesse di un rapporto sentimentale, il lavoro sodo nei campi e le diversità sociali che contraddistinguono il mondo al di fuori dell’orfanotrofio) ma anche per dare valore a ciò che ha significato “casa” per lui durante tutta la sua esistenza, le persone che si sono prese cura di lui e di cui lui si è preso cura fino al mestiere di medico appreso collaborando con quell’uomo che ora soffre la sua mancanza.
Tante sono le tematiche affrontate da questo titolo tratto da un libro di John Irving, fino a toccare temi come gli abusi sessuali incestuosi e i dilemmi morali sulla legittimità di un aborto in casi così estremi.
La pellicola scorre via un po’ spaesata e impacciata come il suo protagonista, non spicca il volo pur avendone tutto il potenziale, non osa e non incide, rispecchiando molto del carattere del suo regista Lasse Hallström, la cui carriera è costellata di opere con buone intenzioni ma sinceramente un po’ scialbe.
Il film comunque merita, sia per le tematiche toccate che per le belle interpretazioni dei suoi tre protagonisti: Tobey Maguire, Michael Caine (la cui presenza come al solito assegna spessore e fascino) e, a proposito di fascino, Charlize Theron.
Di spessore la colonna sonora, questa sì che incide; a scrivere le musiche è Rachel Portman, la prima donna ad essere premiata agli Oscar per la miglior colonna sonora (nel 1997 per il film “Emma”). La traccia portante che fa da main theme trasmette quel senso di candore con cui il personaggio di Maguire affronta la vita e tutte le sue complessità, un candore che è frutto di sincera ingenuità, stupore e meraviglia per l’impatto che gli eventi gli procurano da quando ha deciso di affacciarsi al mondo.
Saranno 7 le candidature agli Oscar (tra cui quella per la miglior colonna sonora) di cui 2 statuette assegnate: a Michael Caine come miglior attore non protagonista e a John Irving per la sceneggiatura (non originale provenendo dal suo omonimo romanzo).
Forse il film avrebbe guadagnato in incisività se la sceneggiatura fosse stata partorita da una penna diversa, più consona al linguaggio e ai tempi del cinema.
Il film ha comunque una sua personalità e merita più di un approfondimento, scuote più di una coscienza senza calcare mai la mano, avendo il pregio di sottoporre quesiti morali senza avere la pretesa di possedere risposte e verità.
La frase ripetuta ogni sera agli orfani dal dottor Larch per dar loro la buonanotte (“Buonanotte principi del Maine, re della nuova Inghilterra” riferita a una regione facente parte del Maine) sembra abbia lo scopo di offrire loro un senso di appartenenza a quella fetta di mondo da cui provengono, affinché anch’essi possano sviluppare le proprie radici negate loro dall’abbandono e dal senso di smarrimento derivante dal non conoscere e dal non appartenere a chi li ha generati.
Homer Wells imparerà che la vita non è scegliere tra bianco o nero, lecito o illecito, giusto o sbagliato, e che una lista di regole come quelle della casa del sidro sono tanto fondamentali quanto pronte ad essere eluse; è la natura umana, tanto complessa e distorta quanto affascinante e densa di meraviglia. . .un po’ come King Kong.
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