Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Jenny Isaksson (Liv Ullmann), psichiatra assistente del direttore di una clinica, essendo sola in una casa - il marito (Sven Lindberg) è via per un congresso e la figlia adolescente Anna (Helene Friberg) è al campeggio - non ancora sistemata ed ammobiliata, si stabilisce per un po' di tempo nella casa dai nonni (Gunnar Björnstrand e Aino Taube), luogo dove tutti i suoi problemi esistenziali verranno fuori in maniera eclatante.
'L'immagine allo specchio', raggelante studio psicanalitico al femminile, è un altro dei lavori di Bergman che soffre della sua doppia origine, televisiva e cinematografica, in quanto a sequenze azzeccatissime - tutte quelle improntate sulla dimensione onirica, spiazzanti e perturbanti - ne seguono parecchie altre o tirate troppo per le lunghe oppure che si concludono in modo brusco, palesando un problema di montaggio nel passaggio dalla versione per il piccolo schermo a quella per il grande, delle due successiva.
Bergman stesso non annoverava tale opera tra le sue più riuscite ed ispirate - nonostante l'Academy lo gratificò di una candidatura agli Oscar per la migliore regia, così come Liv Ullmann nella cinquina delle migliori attrici- ma seppur tra molteplici problemi, tra i quali anche una sceneggiatura che forse per una volta esagera mettendo un po' troppa carne al fuoco, dato che la psichiatra con tare psichiche è un personaggio bergamaniano per eccellenza - come il crociato Antonius Block che torna dalla sua missione e ha perduto la fede de 'Il settimo sigillo', come l'attrice Elisabeth Vogler che ha deciso di non parlare più di 'Persona' - ma stavolta forse il Bergman sceneggiatore si è lasciato prendere un troppo la mano nel caricare eccessivamente la sua protagonista di 'sventure' di ogni tipo: orfana di entrambi i genitori, a causa di un incidente, il marito, con il quale non va d'accordo, è via per lungo tempo, con la figlia adolescente non s'intende, subisce un tentativo di stupro, inizia una specie di relazione con un uomo ma non procede bene perché lui è omosessuale.
Per fortuna Bergman compensa tali disfunzioni elencate, sia narrative sia di scrittura, con una maturità espressiva ed un rigore formale che non vengono mai a mancare, con consuete riprese lunghe composte di poche inquadrature che vanno a scandagliare i suoi personaggi, cogliendoli nell'intimo.
Da lodare ancora una volta il prezioso lavoro con il cast, con Liv Ullmann in un'altra delle sue intense e soffertissime prove, dove non si risparmia nulla nella discesa vertiginosa nei meandri della sua tormentata psiche e una galleria di ritratti secondari tra i quali è giusto stavolta soffermarsi sui caratteri maschili: lo sfuggente ginecologo interpretato con fare beffardo da Erland Josephson e il toccante ritratto dell'anziano morente reso con trasporto da Gunnar Björnstrand.
Voto: 7 (v.o.s.).
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