Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
L'idea che sottende in questo film Bergman, anche sceneggiatore, è quella piuttosto antica e stereotipata da mille opere artistiche in precedenza, secondo la quale l'amore è l'unico rimedio all'angoscia della morte, l'unico che possa riempire il vuoto dell'esistenza: "L'amore abbraccia tutto, persino la morte" è, certo non a caso, l'ultima battuta significativa del film. Ma è un amore disperato e razionalissimo, certo non cieco di passione, una specie di surrogato concreto, terreno della divinità, di quell'entità superiore che il regista non sa e non può definire, ma continua a ricercare nei suoi lavori: siamo lontani dalle tematiche spirituali di lavori come Luci d'inverno o Il settimo sigillo, ma il discorso non è poi tanto dissimile. Ancora una volta a dare voce e corpo alle ansie e alle incertezze del regista è una donna; la Ullmann è (nulla di nuovo in ciò) notevole in una parte piuttosto articolata e dalle sfumature complesse. Al suo fianco troviamo un altro volto caro al regista, quello di Joseph Erlandson, che al fianco della Ullmann aveva girato un paio d'anni prima Scene da un matrimonio, il cui stile freddo, chirurgico quasi, pregno di una drammaturgia fitta di dialoghi in interni, è molto affine a quello de L'immagine allo specchio; ruolo laterale per Gunnar Bjornstrand. Alla luce della scarsissima azione, la durata può sembrare eccessiva (peraltro la versione cinematografica, due ore tonde, è notevolmente tagliata rispetto a quella originaria televisiva); ulteriore difetto può ritrovarsi nella troppo netta divisione in due parti, con una prima metà ambientata principalmente nella realtà e una seconda, sensibilmente più ispirata, immersa nel delirio. Non sorprende tanta dimestichezza di Bergman con la follia, specialmente in quel periodo: subito dopo la realizzazione di questa pellicola infatti il regista, colpito nel vivo da una questione legale-finanziaria (un presupposto, ampio debito con l'erario svedese), finì ricoverato in psichiatria per varie settimane, comunque uscendone infine rigenerato. Fotografia opaca e dai colori spenti, che si riallaccia a quella di Scene da un matrimonio, di Sven Nykvist; musiche eseguite al piano da Kabi Laretei, ex moglie del regista nei primi anni '60 (curiosamente lasciata a favore proprio della Ullmann). 6/10.
Una psichiatra, il cui marito è fuori per lavoro e la figlia è in campeggio, si trasferisce momentaneamente a casa degli anziani nonni. Riaffiorano ricordi, sensi di colpa e di ineguatezza, nonchè la paura della morte che fin da piccola, da quando i suoi genitori morirono in un incidente stradale, l'ha accompagnata. Persa fra incubi e deliri, tenta il suicidio con una dose massiccia di sonniferi. Si salva e torna alla solita vita. E ai soliti dubbi.
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