Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Parafrasando quanto dice uno dei personaggi del film, si potrebbe affermare che per Bergman il cinema è ciò che riempie il vuoto che ci separa dal momento della morte. Nel commentare "L'immagine allo specchio", molti critici sono stati più realisti del re, nel senso che hanno apprezzato le finezze di un film che lo stesso autore non annoverava tra i suoi migliori: egli stesso, al proposito, parlò di "stanchezza artistica". E questa si avverte, secondo me, nel manierismo recitativo della Ullmann, attrice peraltro encomiabile, non foss'altro per il massacrante tour de force cui si sottopone per dare vita a uno dei suoi personaggi più complessi. Il fatto stesso di farla spesso interagire con sé stessa, quasi fosse un Amleto redivivo, conferisce ad alcuni momenti del film un alone posticcio e forzato. E tuttavia Bergman sa condire questa sua psicoterapia applicata alla settima arte con elementi di grande cinema, come molte delle sequenze oniriche, o le inquietanti apparizioni di una vecchia dalla faccia truce, quasi fosse una raffigurazione malvagia dell'affettuosa nonna (non a caso, in alcune sequenze di sogno, Jenny compare vestita come Cappuccetto Rosso), una proiezione della propria cattiva coscienza (in assenza del marito, Jenny s'è già trovata un amante), oppure una triste prefigurazione della vecchiaia, che soltanto nel finale, nella visione dell'amore che lega i due vecchi nonni, sarà addolcita. Così come Bergman uomo e regista avverte, assordante e fortissimo, il silenzio di Dio, e nonostante ciò continua pervicacemente a cercarlo, con le parole del dottor Wankel il regista intellettuale afferma tutta la sua sfiducia nella psicoanalisi (se non come mezzo per interpretare la realtà) quale efficace terapia per le malattie dell'anima e nondimeno propone un film la cui ossatura è tutta ricalcata sullo schema della medicina freudiana. E per ironia della sorte, all'inizio del 1977, dopo l'uscita dell'"Immagine allo specchio" e prima della realizzazione del suo primo film realizzato all'estero ("L'uovo del serpente"), a seguito di disavventure di carattere fiscale che condussero quasi al suo arresto, Bergman, in preda ad una profonda crisi depressiva, fu costretto alla permanenza per tre settimane nel reparto di cure psichiatriche dell'ospedale Karolinska di Stoccolma. In conclusione, direi che il film, originariamente girato per la televisione in quattro episodi di cinquanta minuti ciascuno, fu ridotto da Bergman, per l'uscita cinematografica, ad una versione di 135 minuti: comunque troppi.
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