Guy e Prisca, affetta da un cancro,sono una coppia giovane, ma la cui relazione sembra giunta al capolinea, conducono i loro figli Trent e Maddox, ignari dell'imminente rottura dei genitori, su di un'isola mozzafiato, per una vacanza. Il direttore del resort, che li accoglie, li convince a raggiungere un'incantevole spiaggia,lì incontrano altri ospiti, il chirurgo Charles con la sua vanitosa e frivola giovane moglie Chrystal la figlia Kara e la nonna Agnes, poi c'è il rapper Mid-Size Sedan e infine l'infermiere Jarini con la moglie Patricia, affetta da crisi epilettiche . Quando trovano il cadavere della compagna di Sedan, a galleggiare a faccia in giù e a seguire muore anche Agnes, intuiscono che non sarà proprio la bramata vacanza idilliaca; intanto perché malgrado rocambolesche manovre,nessuno riesce ad andarsene, anzi qualcuno nel tentativo ci lascia le penne e poi meraviglia delle meraviglie, si accorgono presto che il tempo in quel luogo”maledetto” scorre in maniera diversa dal consueto, stanno tutti invecchiando velocissimamente, Trent e Maddox Kara in poche ore diventano adolescenti, stando a un rapido calcolo, lì mezz’ora corrisponde all’incirca a un anno di vita, dunque l'intera esistenza rischia di essere ridotta a un unico giorno. Nel frattempo Il tumore di Prisca, assume le dimensioni di un uovo di Pasqua e va rimosso, ma il chirurgo Charles durante l'intervento impazzisce completamente e invece di operare vaneggia, incaponendosi a cercare di rammentare il cast di un vecchio film, comunque a dispetto di ferite che si rimarginano a velocità impressionante e di Charles la cui mente è alla deriva, si riesce a concludere felicemente l'operazione, ma intanto i forzati villeggianti cominciano a morire, qualcuno come Charles è colto da raptus di violenza assassina, tra incredulità e orrore i superstiti, non riescono a capire in quale stramaledetto sortilegio sono finiti. Lo script di fondo è alquanto intrigante e dalle grandi potenzialità;si respira un'inquietudine, tipo quella degli episodi dell'indimenticabile serie” Ai Confini della Realtà, o per restare all'attuale qualcosa alla “Black Mirror”.M. Night Shyamalan ha avuto un'idea di base geniale,ciononostante la sua messinscena non sempre scivola via con convinzione, ci sono dei passaggi fuori contesto e inoltre la sceneggiatura a tratti appare superficiale e “buca” spesso. Tuttavia al netto di ciò, si può apprezzare e godere di una suggestiva storia, fra horror e dramma familiare, inquietante viaggio nel tempo, una sintesi delle paturnie legata all’invecchiamento e alla paura della morte. Il regista sicuramente talentuoso,riprende una “graphic novel” francese “Sandcastle” “Un castello di sabbia” che simboleggia con un'immagine evocativa la necessità di continuare, nonostante tutto a nutrire la voglia di giocare che possiede un bambino. Come il maestro Hitchcock, anche Shyamalan ama apparire nei suoi film. Qui è presente con un piccolo cameo, in questo microcosmo che al di la delle splendide apparenze, nasconde un mistero infausto per coloro che hanno la sventura di trovarcisi , naufraghi e alla deriva di un luogo senza prospettive, come fosse un' altra dimensione, alle prese con un conto alla rovescia sempre più implacabile. Il film anche se, ogni tanto è appesantito da alcune sequenze inutili e da qualche lungaggine di troppo, è comunque un'opera riuscita ed efficace, un'atipica storia di formazione, in cui non è il cinema a prendersi la licenza di condensare una vita in un film , ma è l’universo sconvolgente di questo luogo a imporre al cinema di girare una vita intera in un giorno e in un film. Un cambio di prospettiva destabilizzante, che crea la giusta sospensione, una sensazione di tensione crescente che prende lo spettatore. L’adolescenza diventa quasi subito età adulta e la vecchiaia si impone, tutti vittime di un orologio impazzito, le cui lancette scorrono vertiginosamente, con regole proprie; il tempo è la variabile impazzita che incute timore, in quanto inesorabile metronomo della umana vita e scandisce senza pietà le ore e i minuti, avvicinandoci irreversibilmente alla fine. A spaventare è propria la consapevolezza palpabile, che tutti moriremo, dunque il tempo concettualmente, contiene al proprio interno già la nostra morte. Old, oltre ad essere una riflessione dolorosa sulla vecchiaia e la perdita degli affetti, è anche una considerazione sul senso stesso del cinema. Mettendo in scena personaggi che vivono un’intera vita nell’arco di sole poche ore, Shyamalan non fa infatti altro che teorizzare ciò che il cinema naturalmente fa, sempre, in ogni occasione. La spiaggia maledetta diventa dunque il set della vita di questi sventurati. Il finale spazza via qualsiasi ipotesi “soprannaturale” forse deludendo molti, anche il sottoscritto, ma tant'è. Quello che fa paura non è “il mostro” che infatti non c'è, ma la sensazione di essere prigionieri; da questa spiaggia, allegoria della vita, non esiste davvero via di fuga e ci si ritrova adulti e poi vecchi costretti a lasciare tutto, ma mai pronti veramente a farlo. In quest’ottica, diventa inevitabile leggere il film come una metafora sull’epoca pandemica, con le sue restrizioni e il distanziamento sociale oramai entrato nella quotidianità di miliardi di persone.
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