Regia di George C. Wolfe vedi scheda film
Pressoché privo di qualsiasi significato, logica, nerbo e struttura, questo Ma Rainey's Black Bottom si può salvare solo per il blues del quale si ammanta. Merito parziale, in quanto il blues solo parzialmente lo ricopre. Per il resto non si sopporta niente: la diffusa location claustrofobica, la questione razziale che si interseca con fuggevoli lacrimazioni suscitate dai racconti di negritudine infanzia fuori tempo e fuori storia, quella bistrattata della religione che arriva di punto in bianco Dio solo sa perchè, la caratterizzazione debole di tutti i personaggi che male mi sento se penso alla relazione intessuta tra questi (l’accoltellamento del finale è quasi ridicolo), il contrasto generazionale che vorrebbe il giovane trombettista rampante opporsi agli schemi bianco/dominanti dello show-biz al quale i non-fratelli neri si inchinano e che si risolve invece in un banale coitus interruptus tra neri sopra le stonature di un pianoforte, le sciocchezze improvvisate relative ad un ragazzino balbuziente che dovrebbe trovare nella sua GranMa rifugio, e che invece non occuperebbe nemmeno l’attenzione di un quarto di seggiolino nell’ultimo cinema di periferia (se mai i cinema fossero tutt’ora funzionanti...). Mi fermo qui.
Un film inaudito dalla testa ai piedi, anzi: dalla testa al culo (nero) per adeguarsi al suo titolo. Salviamo le gambe, i piedi e le meravigliose scarpe color senape di uno dei protagonisti: la cosa migliore messa in scena dal film (assieme, ovviamente, alla voce meravigliosa di Ma e del suo blues, maldestramente occultati entrambi da tutto il resto).
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