Regia di Piero Schivazappa vedi scheda film
Il dottor Sayer, uomo insospettabile, cova in sè l'istinto di serial killer. Le sue vittime predilette sono donne: l'uomo è infatti ossessionato fin da bambino dall'immagine di una femmina di scorpione che uccide il partner al termine del rapporto. Un giorno però Sayer incontra una donna capace di fargli provare davvero qualcosa: si innamora perdutamente, comincia a frequentarla e inevitabilmente si ritroverà ad avere a che fare con una femmina di scorpione.
Schivazappa lavorava già per la Rai e questo Femina ridens rappresenta il suo esordio cinematografico; dai prodotti(ni) di fiction per la televisione di Stato a questo satirico apologo sulla sessualità nevrotica nella civiltà moderna, è doveroso ammetterlo, di strada ne corre. Eppure quello che non funziona principalmente in Femina ridens non è tanto l'approccio formale, quanto i contenuti della stessa pellicola: sufficientemente coraggiosa e dotata di una serie di spunti di discussione interessanti, ma comunque insipida, basata su una connotazione fortemente maschilista che vorrebbe spacciarsi per estremismo femminista. Ma l'equivoco non regge neppure per un secondo: il finale beffardo è la riprova della denuncia intrinseca nella sceneggiatura scritta dallo stesso regista, una specie di richiesta d'aiuto da parte del maschio indifeso di fronte allo strapotere della donna. Siamo nel 1969 e in fondo cadere in simili banalità è più che comprensibile; rimangono in ogni caso un film visivamente pop (nelle scenografie di Francesco Cuppini, nella colonna sonora di Stelvio Cipriani), con tanto di citazione per l'opera Niki de Saint Phalle, di Jean Tinguely, e un paio di interpreti come Philippe Leroy e Dagmar Lassander che associano la buona presenza sulla scena (del primo) alla bella presenza sulla scena (della seconda). Per quest'ultima, 26enne tedesca, è la prima esperienza nel cinema italiano: ne seguiranno tantissime altre. Schivazappa tornerà al cinema un paio di anni più tardi per Incontro (1971). 3/10.
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